Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”
Nel mese di aprile, diplomatici dell' ambasciata cinese a Berlino hanno chiesto di essere ricevuti dagli Staatssekretär, i sottosegretari di carriera di diversi ministeri del governo federale. Cosa volevano? Far pressione perché da parte tedesca uscissero dichiarazioni di elogio verso la Cina e il suo modo aver affrontato la pandemia.
Beppe Grillo con l ambasciatore cinese Li Junhua
È successo anche in altri Paesi europei. Ma in fondo, per quanto fuori da ogni codice diplomatico, si è trattato di una delle azioni meno invasive messe in atto dalla diplomazia del dragone negli ultimi mesi. Dall' America all' India, dalla Francia al Venezuela, dall' Australia all' Olanda, una nuova generazione di ambasciatori e consoli della Repubblica Popolare vengono sguinzagliati sui social media in una campagna senza precedenti, dove attacchi e minacce velate verso i Paesi ospiti si alternano alla sistematica diffusione di voci infondate e sospetti calunniosi. È una narrazione nella quale si mescolano autocelebrazione, rifiuto ad ammettere qualsiasi errore, finta indignazione di fronte all' incapacità del resto del mondo a contrastare efficacemente il Covid-19.
lijan zhao portavoce del ministero degli esteri cinese
Sono almeno 70 al momento i diplomatici cinesi attivi su Twitter fuori dai confini di casa (in Cina il network è bandito dal 2009) e nell' immaginario popolare sono già degli eroi. Li chiamano i Wolf Warriors, i lupi guerrieri, dal titolo di un blockbuster ipernazionalista del 2017, dove Leng Feng, muscoloso Rambo cinese combatte e distrugge i nemici: signori della droga asiatici, pirati africani e mercenari guidati da un americano cattivo di nome Big Daddy.
Il film, già al secondo episodio, ha realizzato il più grande incasso di sempre al botteghino per una produzione locale.
La star dei Wolf Warrior della diplomazia cinese è Zhao Lijiang, 47 anni, oltre 600 mila follower su Twitter, portavoce del Ministero degli Esteri. Celebre per aver definito l' ex segretario di Stato Usa Susan Rice «una disgrazia razzista» e gli inglesi «eredi di criminali di guerra» quando Londra criticò l' uso della violenza a Hong Kong, è lui che il 12 marzo ha dato il via alla «guerriglia» con un tweet nel quale suggeriva che «potrebbe essere stata la U.S. Army a introdurre il virus a Wuhan».
Da quel momento è stata una cascata fatta di sarcasmo, insulti, insinuazioni, avvertimenti, ombre di congiure.
lijan zhao portavoce del ministero degli esteri cinese
Quando l' Australia ha proposto un' inchiesta internazionale indipendente sull' origine della pandemia, l' ambasciatore cinese a Canberra ha minacciato il boicottaggio sui prodotti del Paese, primo partner commerciale della Cina. A Parigi il Quai d' Orsay ha dovuto convocare l' inviato di Pechino, dopo che sul sito dell' ambasciata era apparsa l' accusa alla Francia di aver lasciato soli a morire di fame e di malattia centinaia di anziani negli ospizi. «Mettetevi una maschera e tacete», ha twittato l' ambasciatore cinese in Venezuela, dopo che alcuni esponenti del governo avevano parlato di «virus di Wuhan». «Ridicola e insensata», ha definito il portavoce dell' ambasciata cinese in India la richiesta del governo di Delhi che Pechino paghi «compensazioni» per la diffusione del virus.
xi jinping
La stampa di regime fa eco ai lupi guerrieri. Ha scritto il Global Times , tabloid alle dirette dipendenze del partito: «Il popolo cinese non si accontenta più di una diplomazia dai toni flaccidi». Secondo Wang Jong, docente di studi internazionali all' Università di Pechino, lo stile «più assertivo» della diplomazia cinese è una reazione alle accuse durante la crisi, specie quelle americane. Non a caso, i media cinesi hanno bollato il segretario di Stato Mike Pompeo come «nemico pubblico dell' umanità».
Ma per Thorsten Benner, del Global Public Policy Institute di Berlino, l' aggressività dei Wolf Warrior è «piuttosto un segnale di stress» e rischia di rivelarsi contro-produttiva.
xi jinping 2
Xi Jinping e il partito, secondo Benner, si troverebbero in difficoltà perché le critiche straniere colpiscono al cuore uno dei miti del sistema: l' efficienza e in ultima analisi la legittimità del Partito comunista. E sono passati al contrattacco.
I lupi guerrieri ci dicono però che ormai la Cina si concede anche una narrazione pop attingendo al più classico dei soft power americani, il cinema. Un altro tassello della sua crescente ambizione a guidare il nuovo ordine mondiale.
XI JINPING GIUSEPPE CONTE XI JINPING SUGLI SCHERMI xi jinping 4 GHEBREYESUS XI JINPING XI JINPING SULLO SCHERMO