Matteo Persivale per il "Corriere della Sera"
Amanda Lear
Ventisettemilacentoventicinque like e tremilaventidue commenti (di nomi famosi come Mara Venier e non famosi) alle sette di ieri sera, che oggi saranno sicuramente destinati a crescere, un «guarisci presto» corale via social media riservato ad Amanda Lear che su Instagram ( @amanda.lear ) aveva postato una foto dal letto d'ospedale zurighese: «FELICE di averlo fatto!! Intervento chirurgico al cuore. Il mio cuore è stato aggiustato e AMERÀ i miei fans ancora di più», aggiungendo tag per ringraziare il suo medico e spiegare che comincia «una nuova vita».
amanda lear follie di notte
L'ondata di affetto che ha avvolto così calorosamente Lear si spiega, semplicemente, con la bellezza di tutto quello che lei (ufficialmente classe 1939, pur con l'alea che avvolge le date di nascita di tante dive; e poi, insomma, l'età alle signore...) ha regalato al pubblico attraverso una carriera lunghissima dagli anni Sessanta a oggi.
AMANDA LEAR AL CONCERTO DEI CCCP A MILANO NEL 1988
Nella foto, non un selfie ma scattata da qualcuno al suo capezzale con ottima luce diffusa, Lear appare in forma ammirevole con un pigiama a righine orizzontali un po' marinaresco, il trucco come sempre precisissimo, idem i capelli biondi recentissimamente curati del colorist (anche qui da manuale della diva: presentarsi in sala operatoria freschissima di coiffeur). Se non fosse per la flebo e il braccialetto da ospedale con la targhetta, è la Amanda dei tanti scatti quotidiani che condivide con i follower (119 mila).
amanda lear
Sui social media regala foto dei suoi concerti, delle apparizioni alle fashion week, i suoi quadri, gli amici, l'amatissima Provenza. Adesso, la malattia: vissuta però come un'occasione per spargere, e ricevere, affetto. Perché in un'era di tanti influencer dalle attività opache (selfie a parte), Lear è una influencer da quando è entrata nello show business mezzo secolo fa: cantante regina della disco music (27 milioni di dischi venduti), attrice, conduttrice, pittrice, modella, doppiatrice di cartoon hollywoodiani, amica di un numero impressionante di grandi del Novecento.
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Dal mentore Salvador Dalì (il suo nome d'arte, vuole la leggenda, fu inventato dal sommo pittore, che foneticamente la ribattezzò «Amant de Dalí»), David Bowie al quale spiegò l'espressionismo tedesco nel corso della loro relazione durata due anni («Era un autodidatta, intelligentissimo ma partiva da zero o quasi»), i Roxy Music, i grandi fotografi. Le polemiche del 2022 che infuriano sul gender le ha spente cinquant' anni fa quando il gossip voleva che fosse stata registrata, alla nascita, come maschio e come maschio avesse vissuto l'adolescenza: chiuse il discorso con un «Che barba!» in cinque lingue (è poliglotta) valido anche oggi.
amanda lear
Posa dal letto d'una clinica ignorando i postumi dell'appuntamento col cardiochirurgo perché appartiene alla scuola delle modelle anni Sessanta, ha posato per fotografi come Helmut Newton e David Bailey e più tardi sulla copertina di «For your Pleasure» dei Roxy Music in tacchi a spillo e con una pantera nera al guinzaglio - se sei tu a far preoccupare la pantera invece del contrario, cosa vuoi che sia aver a che fare con un bisturi. Il segreto del suo successo è che ha fatto tutto, in oltre cinquant' anni di carriera perché, molto semplicemente, tutto dopo un po' la annoia.
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«Io mi stanco. Mi stanco sul lavoro, mi stanco in amore. Mi stanco di mangiare sempre la stessa pappa. È per questo, di sicuro, che sono ancora qui. Perché ho cambiato strada, spessissimo: ho fatto la modella e poi la cantante e poi la tv, il cinema, il teatro, il doppiaggio - aveva spiegato al Corriere tre anni fa -. Tutto purché la gente non mi vedesse sempre lì a fare la stessa identica cosa. Me lo immagino il pubblico, che mi vede e pensa "Ancora lei?"».
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