Patrizia Maciocchi per "www.ilsole24ore.com"
CACCIA AL CINGHIALE
Rischia la condanna per il reato aggravato di maltrattamento degli animali il cacciatore che non dà il colpo di grazia al capriolo ferito, e lo carica ferito nel bagagliaio della macchina dove muore dopo inutili sofferenze.
La Corte di cassazione (sentenza 29816) respinge il ricorso di due cacciatori, condannati dalla Corte d’appello a quattro mesi di reclusione, per il reato previsto dall’articolo 544-ter del Codice penale. Ad avviso dei ricorrenti una condanna ingiusta, la contestazione legittima poteva, infatti, essere solo quella di aver svolto attività venatoria in un periodo di fermo: reato tra l’altro prescritto.
L’inutile sofferenza
cassazione
Per i giudici però l’accusa è molto più grave, e il solo punto accolto riguarda la mancata motivazione sulla quantificazione della pena detentiva. I due avevano sparato a tre caprioli caricandoli nel cassone del loro fuoristrada, uno di questi era però solo ferito ed era morto dopo «dopo essere stato sottoposto a sevizie insopportabili per le sue caratteristiche etologiche...» .
Per i giudici era stata inflitta, con crudeltà, una non necessaria e inutile sofferenza «conseguente alla mancata uccisione con un colpo di grazia che, se prontamente intervenuto, avrebbe impedito ulteriori sofferenze all’animale...».
CACCIATORI IN ITALIA
La Suprema corte ricorda l’impossibilità di punire con la sola contravvenzione la condotta e non anche in base alle pene previste per il delitto. Nel primo caso, infatti, il bene giuridico protetto è rappresentato dalla fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato, mentre nel secondo entra in gioco il sentimento per gli animali. E i due reati concorrono.
Spettacoli con animali, macellazione e vivisezione
Per la Corte di legittimità l’uccisione dell’animale deve avvenire senza infliggergli sofferenze non necessarie. E anche quando deve essere sacrificato, per un ragionevole motivo, tra i quali rientra la necessità di evitare un pericolo imminente o l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni, va fatto senza crudeltà. Principi che sono stati applicati alla vivisezione e al testo unico sulla caccia.
CACCIATORI IN ITALIA
Ci sono norme, risalenti agli anni ’20, che impongono, anche in caso di macellazione, di indurre la morte «nel modo più rapido possibile». Un regio decreto del ’31 vieta gli spettacoli o i trattenimenti pubblici che «importino strazio o sevizie agli animali». Nel 2020, purtroppo, è ancora necessario ricordare questi principi di civiltà.
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