Gl. S. per “il Messaggero”
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Un ritratto caleidoscopico, psichedelico, emozionante che per due ore e venti minuti trascina lo spettatore in un vortice di suoni, immagini, video, performance, opere d'arte, concerti, registrazioni, parole. Un'immersione totale nella creatività a 360 gradi di David Bowie, la rappresentazione del suo talento eclettico che per quasi mezzo secolo si è dispiegato tra musica, cinema, teatro, pittura, scultura, stili estetici, spiritualità: ha letteralmente stregato il Festival Moonage Daydream, il documentario sull'artista inglese scomparso nel 2016 a soli 69 anni, diretto da Brett Morgen e presentato in anteprima mondiale fuori concorso.
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CONFESSIONI
Il regista americano, 53 anni e una nomination all'Oscar nel 2000 per On the Ropes, già autore di un potente docu sul cantante suicida dei Nirvana (Cobain: Montage of Heck), è stato il primo e finora l'unico estraneo ad avere accesso agli immensi archivi della David Bowie Estate dove, con il permesso della famiglia del Duca Bianco, ha avuto a disposizione cinque milioni di materiali, la maggior parte dei quali inediti.
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Selezionati i più sorprendenti, li ha poi montati scegliendo come filo conduttore le hit (Heroes, Rebel Rebel, Changes, Starman, Ziggy Stardust, Life on Mars, Fame, Golden Years, Let' s Dance, appunto Moonage Dreams...) e la voce stessa di Bowie che in una serie di interviste, rilasciate in momenti diversi della carriera, si mette a nudo: la bisessualità confessata negli Anni Settanta, quando la fluidità non era di moda anzi faceva scandalo, la religione («non credo in Dio ma in un'energia superiore»), la filosofia («un giorno leggo Nietzsche, un altro sono buddista»), l'infanzia infelice con la madre incapace di dargli amore.
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Parla anche della necessità insopprimibile di rinnovarsi («la mia vita è un cambiamento continuo, concluso un progetto devo immaginarne subito un altro») e dei travestimenti, primo fra tutti Ziggy Stardust, con tanto di smalto e tacchi alti che hanno anticipato di 50 anni i vezzi delle rockstar contemporanee: «In scena interpreto tanti personaggi per nascondere me stesso».
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IL ROSA
Descrive la sua straripante creatività: «Sento la necessità di mettere ordine nei frammenti e nel caos». E l'amore: nel 1992 sposa la top model somala Iman «e la mia vita si è tinta di rosa», spiega, «ho capito che dovevo rallentare il lavoro per dedicarmi al nostro rapporto di coppia e fare mia moglie sempre più felice». Morgen ripercorre le varie fasi musicali di Bowie legate ai suoi soggiorni a Los Angeles, a Berlino dove lavora con Brian Eno, in Asia.
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Ripropone le immagini delle folle in delirio ai suoi concerti: particolarmente emozionante il ritorno sold out a Brixton, il sobborgo londinese dove David era cresciuto, povero e affamato di esperienze. Il film mostra anche i suoi disegni inediti, le sue sculture, ricorda i suoi successi travolgenti: a 33 anni aveva già pubblicato 17 album.
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«Ho lavorato 5 anni negli archivi e ho poi dedicato altri 18 mesi al montaggio sonoro», spiega a Cannes il regista, «la famiglia mi ha appoggiato ponendo un'unica condizione: che il film non fosse una semplice celebrazione ma un'opera d'autore capace di rispecchiare la mia personale visione del cinema. Sono ossessionato dagli artisti che, come Bowie e Cobain, hanno inciso profondamente nella cultura». Durante la lavorazione, Morgen ha avuto un attacco di cuore: «Sono sopravvissuto cercando la motivazione proprio nel messaggio di Bowie».
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Quale? «L'artista detestava la banalità e ha vissuto per esplorare territori sempre nuovi e sconosciuti. Ci incontrammo nel 2007, volevamo girare insieme un film ibrido, cioè con materiali documentari e finzione. Ma non se ne fece nulla, non era venuto ancora il momento. Se lo incontrassi oggi lo ringrazierei di tutto quello che mi ha dato. Sia come uomo sia come artista».