DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
ECCO I MAFIOSI MANAGER LA LISTA DEI 376 USCITI È ORA AL VAGLIO DEI PM
Alessia Candito, Dario Del Porto, Salvo Palazzolo per ''la Repubblica''
La lista dei 376 mandati ai domiciliari per motivi di salute connessi al rischio Covid non è solo un pezzo di storia delle mafie. È, soprattutto, la cronaca attualissima di boss manager, uomini e donne, che con i loro affari si sono infiltrati nel tessuto economico del nostro Paese, da Sud a Nord. Si tratta, in parte, di detenuti arrestati nei mesi scorsi, e dunque ancora in attesa di giudizio. I loro nomi richiamano recenti operazioni di procure e forze dell' ordine. Altri sono stati invece già condannati, negli ultimi anni.
alfonso bonafede francesco basentini
Repubblica è tornata a riesaminare la lista degli scarcerati finiti agli arresti domiciliari perché quei nomi indicano storie di clan-aziende spesso in piena attività. E, magari, affari non del tutto bloccati.
Mentre altri complici potrebbero essere ancora sul territorio, lo stesso dove i detenuti ai domiciliari sono stati trasferiti. C' è di più: molti dei proventi realizzati da questi boss potrebbero non essere stati sequestrati. È la ragione per cui i mafiosi usciti dal carcere rappresentano un potenziale pericolo. La lista dei 376 posti ai domiciliari è ora all' attenzione delle procure distrettuali antimafia, che tengono sotto controllo le dinamiche delle cosche. Sono soprattutto i boss manager tornati nelle loro abitazioni a preoccupare chi indaga. I boss manager che conservano la chiave di relazioni, affari e patrimoni, il vero capitale delle mafie.
Gino Bontempo Il ras dei fondi Ue nella zona di Messina
Gino Bontempo, il ras della mafia dei pascoli in provincia di Messina, aveva messo in campo una schiera di insospettabili professionisti per razziare i contributi europei destinati ai Nebrodi. E, tutti insieme, avevano trovato un sistema quasi perfetto per evitare i controlli. Bastava non indicare l' Iban delle loro società, così le pratiche venivano temporaneamente accantonate. Per prassi, in questi casi, le liquidazioni avvenivano soltanto in un secondo momento. E, a quel punto, i controlli non venivano più fatti. È un grande baco quello scoperto di recente dalla procura di Messina con le indagini di Finanza e carabinieri. Fra il 2010 e il 2017, l' Ue ha versato 5 milioni a 151 aziende agricole della provincia in mano ai boss dei Nebrodi.
Santa Mallardo La vedova di camorra al centro degli affari
La sua posizione processuale è apparentemente secondaria, una lieve condanna per intestazione di beni con l' aggravante mafiosa. Ma è la tragica storia familiare di Santa Mallardo a renderla quasi suo malgrado un personaggio di rilievo: vedova di camorra, perché il marito fu ucciso 30 anni fa in una delle faide più cruente della periferia settentrionale di Napoli, sorella di Feliciano Mallardo, esponente della cosca egemone a Giugliano e madre di Giuseppe e Carlo Antonio D' Alterio, accusati di aver tessuto trame imprenditoriali di spessore, con interessi tanto nel mondo dell' edilizia quanto in quello della distribuzione del caffé. Affari nei quali è rimasta imbrigliata anche Santa fino al ritorno a casa nei giorni del Covid.
Pio Candeloro Il re di Desio dall'aria anonima
A Desio lo chiamavano Tonino o Tony, non di certo Pio come nella Melito Porto Salvo da cui decenni fa era partito. E prima dell' inchiesta Infinito Crimine, nessuno lì mai avrebbe pensato che dietro quell' aspetto anonimo si celasse il capo di uno dei più attivi locali dell' hinterland milanese, pronto a convincere gli imprenditori a pagare o cedere appalti e subappalti a forza di teste d' agnello lasciate in auto e bombe carta «che mezza casa gli vola». Però Pio Candeloro con i politici ci sa fare, trova anche la strada per discutere a tu per tu con l' amministrazione comunale e la macchina burocratica che governa lavori e appalti e non solo nella sua Desio. Rimedia una condanna pesante, le accuse contro di lui reggono a tutti i gradi di giudizio e i magistrati ne sono convinti. È lui il capo di Desio.
Carmela Gionta La donna del clan denunciato da Siani
Palazzo Fienga, la roccaforte del clan che Giancarlo Siani denunciava nei suoi articoli, il Fortapasc del film di Marco Risi, oggi fa parte finalmente patrimonio dello Stato. Ma il nome Gionta, a Torre Annunziata, continua a pesare. E Carmela Gionta, sorella del boss Valentino, sul territorio si faceva sentire, come racconta l' inchiesta del procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, che l' aveva arrestata per usura dopo la denuncia di un imprenditore riguardante prestiti da 10mila e 15mila euro al tasso del 10 per cento. Ma anche in una famiglia storica come quella dei Gionta, le donne litigavano, sembra proprio per la gestione della cassa: Carmela infatti entrò in contrasto con figlia, moglie e suocera del nipote, all' epoca reggente dell' organizzazione e fu accoltellata al viso.
Antonio Romeo Il Gordo della rotta San Luca-Medellin
Antonio Romeo è nato e cresciuto a San Luca, poche migliaia di anime fra cui i nomi si tramandano per tradizione e strategia. Ma rispetto alle decine di omonimi parenti lontani e vicini, "el Gordo" era speciale. Dalla Locride ha fatto strada, è diventato uno degli emissari abilitato a trattare con i narcos dei cartelli di Medellin, gestire prezzi e spedizioni, assicurare garanzie. Uno affidabile, riconosciuto. Forse per questo, lui è uno di quelli che il parroco di San Luca, don Pino Strangio, e il suo braccio destro, chiedono di "salvare" dalla galera in cambio di precise informazioni su Giovanni Strangio, il killer della strage di Duisburg all' epoca latitante. Offerte rispedite al mittente, "el Gordo" si è dovuto rassegnare alla cella.
Fino a qualche settimana fa.
Domenico Pepè L'uomo del pizzo del clan Piromalli
Domenico Pepè, fidato del clan ndranghetista dei Piromalli, si poneva con modi gentili nei confronti degli imprenditori del porto di Gioia Tauro a cui imponeva le estorsioni per l' ingresso dei container.
«Potete sempre fare delle false fatturazioni per pagare».
L' uomo dell' Ndrangheta dispensava consigli, come se la tassa mafiosa - «un dollaro a container» - fosse una cosa normalissima. Pepè, arrestato nel 2017 dopo un periodo di latitanza, provava a guardare avanti e a dare consigli anche al vertice della storica cosca dei Piromalli. Aveva così aperto la strada per una maxi truffa su alcuni fondi statali. Perché il traffico di droga porta tanti soldi, ma anche la macchina dei contributi pubblici può far realizzare grandi profitti alle cosche.
Francesco Ventrici L'erede del narco che ama investire
Non è nato 'ndranghetista, ma quella vita, di soldi e di lussi grazie alle grandi importazioni di coca, a Francesco Ventrici piaceva. La scopre grazie a Vincenzo Barbieri, ufficialmente imprenditore del mobile di San Calogero, in realtà grande narco al servizio dei Mancuso.
I due sono tanto diversi quanto inseparabili. Elegante e distinto Barbieri, un ragazzone obeso Ventrici, che gli diventa amico, socio, alla fine persino parente, per averne sposato una cugina.
Ma soprattutto erede, dopo l' agguato in cui Barbieri è stato ucciso. E sulla scia del suo mentore, il giovane narco importa fiumi di bianca da Ecuador e Colombia e poi investe. Soprattutto nel bolognese, ma senza dimenticare la Calabria.
Diego Guzzino Da autista a capo col tesoro nascosto
Diego Guzzino era negli anni Ottanta solo l' autista del capomandamento di Caccamo, Francesco Intile, autorevole componente della Cupola. «A un certo punto cominciò a fare affari con la droga a Palermo - ha raccontato il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè faceva palate di soldi, ma non mandava niente alla famiglia».
Per questo, Giuffrè, il successore di Intile, aveva chiesto l' autorizzazione a Bernardo Provenzano per uccidere Guzzino. E il padrino di Corleone aveva autorizzato.
Ma poi Giuffrè venne arrestato, nel 2002. E Guzzino ha continuato la sua scalata nel clan, con affari fra Palermo e la provincia. Ma il tesoro accumulato in tanti anni di attività non è stato ancora sequestrato.
Giosuè Fioretto Il custode dei segreti dei Casalesi
Giosuè Fioretto conosce tanti segreti del clan dei Casalesi: era uno dei cassieri addetti al finanziamento delle operazioni più riservate. E, naturalmente, curava anche l' approvvigionamento della cassa, attraverso forme nuove di estorsione. È forse quel tesoretto accumulato in tanti anni di attività criminale ad averlo convinto a non aprire mai bocca davanti ai magistrati della direzione distrettuale antimafia di Napoli. Fioretto non ha voluto seguire neanche la scelta di due esponenti di spicco del clan, Francesco Schiavone e Bernardo Cirillo, che quattro anni fa avevano annunciato di volersi dissociare dal clan. Tornato ai domiciliari continua a custodire il segreto del patrimonio di famiglia.
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