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    COME MAI AL POLIGONO DI TIRO DI TOR DI QUINTO, A ROMA, NON SI SONO ACCORTI CHE MANCAVA UNA PISTOLA? – A CLAUDIO CAMPITI, L’UOMO CHE IERI HA UCCISO TRE DONNE DURANTE LA RIUNIONE DI CONDOMINIO A FIDENE, NON ERA STATO CONCESSO IL PORTO D’ARMI PER LE RIPETUTE MINACCE AGLI ALTRI CONDOMINI (“MAFIOSI”) –EPPURE, IERI MATTINA È RIUSCITO A RUBARE UN’ARMA E UN CENTINAIO DI PROIETTILI AL POLIGONO, DOVE GLI HANNO CONSEGNATO LA PISTOLA RICHIEDENDO SOLO LA CARTA D'IDENTITÀ. LUI L'HA TENUTA SENZA CHE NESSUNO LO FERMASSE – UN CONOSCENTE: “UN TIPO STRANO, SOLITARIO E SEGNATO DAL DRAMMA DI UN FIGLIO ADOLESCENTE MORTO SULLE PISTE DA SCI DIECI ANNI FA” - CAMPITI VOLEVA FUGGIRE, NEL SUO ZAINO C'ERANO PASSAPORTO, VESTITI E SEIMILA EURO IN CONTANTI...


     
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    CAMPITI VOLEVA FUGGIRE, TROVATO CON SOLDI E PASSAPORTO

    (ANSA) - Nel decreto di fermo la Procura di Roma contesta anche il pericolo di fuga nei confronti di Claudio Campiti, l'uomo che oggi ha ucciso tre donne e ferito altre tre persone. L'indagato, infatti, aveva con sé al momento della sparatoria il passaporto e in uno zaino vestiti e sei mila euro in contanti.

     

    ROMA, SPARATORIA A FIDENE. IL KILLER E L’ODIO PER I CONDOMINI: «VI UCCIDO TUTTI». TRE MORTI

    Giovanni Bianconi per “il Corriere della Sera”

     

    Le tute bianche del Raggruppamento investigazioni scientifiche dei carabinieri si muovono dentro le pareti plasticate del gazebo, intorno ai cadaveri, alla ricerca di dettagli utili a riscontrare la dinamica della strage. Fuori, alcuni parenti delle vittime si scambiano sguardi increduli.

     

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    Perché è difficile credere a ciò che è accaduto, capire come e perché la terza domenica di Avvento s’è trasformata in una domenica di sangue ai margini di Fidene, borgata all’estrema periferia Nordest di Roma, dove il cemento ha avuto la meglio sul verde.

     

    Per ora la spiegazione è tutta nella lucida e premeditata follia di Claudio Campiti, l’inquilino 57enne che ha atteso l’assemblea del Consorzio che gestisce l’area dove abitava da solo e in condizioni precarie, settanta chilometri ancora più a Est, per uccidere tre persone e ferirne altre quattro, di cui una in modo grave. Ma solo perché altri inquilini l’hanno sopraffatto e disarmato, altrimenti la mattanza in stile campus nord-americano avrebbe avuto un bilancio ancora più drammatico.

     

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    La ricostruzione compiuta attraverso le testimonianze e le riprese delle telecamere del bar-pizzeria che aveva messo a disposizione i locali — Il posto giusto, si chiama, ma nessuno se la sente di ironizzare davanti a un’insegna che improvvisamente suona così fuori luogo — è quella di un’esecuzione in sequenza; tre donne ammazzate una dopo l’altra: Sabina Sperandio, Elisabetta Silenzi e Nicoletta Golisano, rispettivamente consigliera, segretaria e commercialista del Consorzio. Campiti avrebbe continuato a uccidere, un’altra donna è stata colpita gravemente alla testa, ma tra la pistola che s’è inceppata e alcuni dei presenti che gli sono saltati addosso disarmandolo la strage s’è fermata.

     

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    Il caricatore della Glock semiautomatica conteneva 16 proiettili ma Campiti in tasca ne aveva un centinaio, sottratti al Poligono nazionale di Tor Di Quinto insieme all’arma. Gli avevano consegnato tutto di prima mattina, dove s’era presentato esibendo la carta d’identità come in altre occasioni. Ieri però non ha sparato alle sagome, è risalito in macchina con arma e cartucce puntando verso Fidene.

     

    E forse questo è l’aspetto più inquietante della storia: come si possa portar via una pistola così facilmente da un Poligono di tiro, che non a caso è stato sequestrato dalla Procura di Roma. Qualche mese fa Campiti aveva chiesto il porto d’armi, ma gli fu negato proprio per le liti condominiali di cui c’era traccia negli archivi dei carabinieri. L’incredibile sfondo della tragedia.

     

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    Il Consorzio Valle Verde, incastonato tra i borghi di Ascrea e Rocca Sinibalda con vista sul lago del Turano, in provincia di Rieti, offre di sé le immagini di un piccolo paradiso terrestre, ma l’uomo tramutatosi in assassino lo dipingeva nel suo blog come un inferno. L’ha scritto letteralmente a novembre 2021, «Benvenuti all’inferno», prima di una lunga requisitoria dai toni astiosi: «Qui con il codice penale lo Stato ci va al cesso.

     

    Qui denunciare è tempo perso, so’ tutti ladri... Il Consorzio Valle Verde è in realtà un’associazione a delinquere, direi anche mafiosa perché — accusa Campiti citando un noto magistrato antimafia — quando un gruppo di manigoldi riesce a soggiogare dei cittadini c’è mafia». Nelle sue denunce Campiti accomuna tutti: gli altri inquilini, ma anche amministrazioni locali, Prefettura e Procura che «hanno legalizzato il pagamento del pizzo esigendo le quote consortili».

     

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    Il contenzioso s’è arricchito di denunce e controdenunce, istanze per esigere le somme non pagate a cui si aggiungono quelle richieste dal Comune. «Aveva avuto un contributo per sopperire alle sue carenze economiche e realizzare l’allaccio alla fognatura, ma i lavori non sono mai stati realizzati per cui gli sono stati chiesti indietro i soldi», racconta il sindaco di Ascrea, Riccardo Nini. Campiti però ribatteva lamentando la distruzione della cassetta postale e la mancanza di illuminazione, con frasi che oggi suonano come un presagio: «Il lampione davanti alla mia abitazione si spegne regolarmente lasciandomi al buio tutta la notte. Mi stanno tenendo senza pubblica illuminazione. Si sa, al buio si vede meno e si può sparare in tranquillità».

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    Temeva le aggressioni, Campiti: «Persone a me care del paese dicono di stare attento alle “schioppettate”», e a leggere ora le sue proteste sconnesse sembra che all’improvviso abbia deciso di aggredire lui per primo. Giocare sciaguratamente d’anticipo. Una mossa che nessuno immaginava, nemmeno tra quelli che ne conoscevano l’animosità e la propensione alle liti. «C’erano discussioni ma tutte per futili motivi, mai niente di serio», ricorda il signor Giovanni che come quasi tutti gli altri soci del Consorzio vive a Roma.

     

    Tutti proprietari di seconde abitazioni. Solo Campiti lì aveva la prima, se abitazione si può chiamare quel cubo di cemento con porta e finestre sbarrate, il piano superiore rimasto un cantiere dove campeggia un’antenna parabolica e lo striscione «Consorzio Raus», rivelatore della sua personale battaglia e delle tendenze nazi-fasciste che s’intuiscono anche da immagini e slogan che adornano il suo profilo facebook.

    strage di fidene 15 strage di fidene 15

     

    «Un tipo strano, solitario e segnato dal dramma di un figlio adolescente morto sulle piste da sci dieci anni fa». Così lo considerava il signor Giovanni fino a ieri mattina, quando l’ha visto trasformarsi in un killer freddo e spietato: «È entrato, ha chiuso la porta alle sue spalle, ha tirato fuori la pistola e io ho pensato che volesse minacciarci. Invece ha subito fatto fuoco contro la prima donna seduta al tavolo della presidenza, poi la seconda, la terza. Una cosa tremenda... Qualcuno gli è saltato addosso, io sono corso ad aprire la porta per far uscire tutti».

     

     

    Un testimone ha sentito l’assassino gridare «Vi uccido tutti», prima di premere il grilletto della Glock. Uno solo. Gli altri ricordano gli spari e il sangue. Portato in caserma, e poi in ospedale prima del trasferimento in carcere, Campiti è rimasto in silenzio. Come i parenti delle vittime che ora guardano le tute bianche del Ris muoversi dentro il gazebo intorno ai corpi dei loro cari.

    CLAUDIO CAMPITI BAR FIDENE CLAUDIO CAMPITI BAR FIDENE

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