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Il Messaggero intervista Diego Abatantuono. Venerdì su Netflix sarà disponibile “Il mostro dei mari”, un film di animazione in cui lui presta la voce a Capitan Crow.
«Con le navi ho un legame speciale: mio padre costruiva galeoni in miniatura. Ho la casa invasa, ne ho uno anche sul frigo in cucina. Fu così bravo da riuscire ad aprirsi un negozio di modellismo e venderli».
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Lei su una nave che farebbe?
«Starei in cambusa probabilmente. Ma su una nave ci vivrei volentieri. Da quando sono bambino ho sempre amato l’avventura: il cappa e spada, i pirati, i film di Maciste. L’importante era che ci fosse una spada da qualche parte».
Nel 1982 fu Attila, flagello di dio.
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«Attila ero io. Sul copione si indicava solo cosa sarebbe successo, ma nella sceneggiatura del film non c’era una sola battuta scritta. Improvvisavo tutto».
Se le chiedessero di fare un cameo in un remake?
«È una questione di rispetto per se stessi. Io non faccio tutto quello che mi chiedono di fare. Alla mia età non farei mai Attila cinquant’anni dopo. Proporre una buona idea è facile, fare un bel film è un altro paio di maniche. Preferisco fare meno cose, ma che abbiano una dignità».
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Qual è la sua ossessione mancata?
«Non sono sicuro di averne una. Nella vita ho sempre fatto quel che ho voluto. Il mio obiettivo era non avere rimpianti. Ho messo al primo posto la famiglia, volevo stare con loro. Da giugno ad agosto, per questo, non ho mai lavorato. Non è stato facile».
Ha solo un rimpianto:
«La regia. E il teatro. Avrei voluto farne di più. Il mio problema è che sono troppo pigro, faccio due film all’anno e mi basta. La regia assorbe tempo. Tutto ciò che mi fa cambiare le abitudini mi affatica».
Un tempo girava sette film all’anno.
«Facevo tanta roba. Ai tempi di Attila, 14 film in due anni. Se avessi avuto un agente oculato ne avrei fatto uno e poi sarei stato fermo per due anni: il primo film incassò otto miliardi di lire. Ma ero giovane e sprovveduto, e il mio agente scaltro: fece un ragionamento sulla sua carriera, non sulla mia. Diventò lui Checco Zalone, non io».
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