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    A COSA SERVONO GLI EMOJI DI FACEBOOK? A FAR CAPIRE COSA NON CI PIACE COSÌ DA RENDERE PIÙ DETTAGLIATA LA NOSTRA PROFILATURA A SCOPI PUBBLICITARI - NIENTE “POLLICE VERSO” PERÒ: SI TEMONO NUOVI CASI DI CYBER BULLISMO E DEPRESSIONE DA SOCIAL


     
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    Fabiana Giacomotti per “il Foglio”

     

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    Non so chi e quanto abbia insistito davvero, ma è fatta. Il simbolo del pollice verso non è più chimera ma realtà. Nel giro di qualche settimana, sebbene con le varianti più soffuse degli emoji, Facebook ci darà la possibilità di "dislike", cioè di detestare, vistosamente e mettendoci la firma, quello che vediamo e che leggiamo. Come gli imperatori romani dei film hollywoodiani o delle pitture di genere di fine Ottocento, perché il significato del gesto non è ancora del tutto acclarato, potremo mandare a morte i post che non ci hanno divertiti.

     

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    Potremo esercitare il nostro sovrano disprezzo, la nostra rabbia, insomma i nostri stati d' animo nei confronti di quanto leggeremo con grande libertà, benché con qualche limitazione. Non ci sarà infatti consentito di usarlo contro le foto dei profili e delle pagine fan, ma solo per commenti e singoli post, e questo per due specifiche ragioni: una ufficiosa ma evidente; l' altra ufficiale e socialmente responsabile, dunque buona ai fini della comunicazione e della notorietà positiva del network.

     

    Ragione ovvia: Mark Zuckerberg teme che la possibilità di azionare la funzione "dislike", anche nella forma apparentemente più accettabile della rabbia, disturbi e metta in fuga i manovratori della pubblicità sul web, che ultimamente registra tassi di crescita da capogiro (più cinquantatré per cento via mobile e più cento per cento via tablet solo in Italia ad agosto, vedete voi se sia il caso di irritarli).

     

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    Il motivo palese, nobilissimo, della censura, che per primo ha mandato a morte proprio lo stesso simbolo del pollice verso a favore delle cosiddette "faccine", è invece di evitare che aumentino i già non rarissimi casi di depressione e di suicidio da cyber bullismo, che porterebbero a Facebook cattiva pubblicità, privandolo per di più di un affiliato di cui nessuno vorrebbe ereditare il profilo digitale, che è l' altra nuova possibilità offerta e attualmente molto in discussione.

     

    Gli emoji, di cui noi giornalisti che collaboriamo con testate online conosciamo già il potere demoralizzante o esaltante ("dopo l' articolo che hai appena letto come ti senti?", seguono faccine stupefatte, incazzate nere, felici, piangenti) ci serviranno dunque per commentare quanto pubblicano i nostri amici, cioè per rendere più preciso l' algoritmo che misura la popolarità di informazioni, pensierini e notizie, e di conseguenza per migliorare la nostra profilatura sempre a scopi pubblicitari.

     

    Ci serviranno inoltre per azzerare le nostre relazioni con gli stessi amici, ma anche con parenti più o meno prossimi e con le nostre relazioni di lavoro. Insomma, se non continueremo a esercitare gli emoji positivi ci faremo il vuoto attorno, e sarà un dislike cosmico, il silenzio assordante che fino a oggi credevamo fosse solo una figura retorica.

     

    Se Facebook e i social si sono retti fino a oggi e a dispetto degli odiatori di professione e dei cyber-bulli sulla reciproca tolleranza e su tanti, infiniti piccoli mondi e bolle amicali in cui ci siamo "likati" a vicenda e leccati parecchio a scopo di sopravvivenza familiare e lavorativa (fateci caso, gli amici dei direttori dei giornali sono direttamente proporzionali alla diffusione della relativa testata), il pollice verso e i suoi succedanei con la faccina scura rischiano invece di inchiodarci alle nostre scelte e di svelare di noi ben più di quanto abbiano fatto finora centinaia di "like" di convenienza o di silenzi diplomatici.

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    Se credete che da adesso in poi userete il pollice verso nella stessa misura e quantità con cui fino a oggi avete regalato gradimenti senza troppo badarvi, crepasse l' avarizia, per gli scopi più vari ma tutti riassumibili nell' adulazione, nella blandizie o nella seduzione, per ingraziarci il boss o per tenerezza nei to pressoché crudo e truccato più di Amanda Lear) che abbiamo cucinato, che non abbiamo affatto cucinato ma ordinato al ristorante perché i nostri amici possano "likare" la nostra raffinata cultura gourmet, che vorremmo ordinare quando ci recheremo nel tal ristorante stellato e che dunque abbiamo scaricato dal sito del suddetto ristorante e ancora voi che cosa ne pensate.

     

    A detta del solito studio inglese, pare addirittura che nulla ci risulti più intollerabile delle prodezze culinarie dei nostri amici di Facebook, Instagram o Pinterest. Non ci importa un beato se prediligono la guancia di maiale caramellata o se vanno a caccia di minestre di orzo perlato in Lunigiana: per questo, l' altro giorno, ho trovato geniale, pura tattica di contro -guerriglia e grande sfoggio di ironia, la foto dei piatti vuoti, post pappatoria, dell' amica comunicatrice Antonella Zivillica: era un invito garbato all' uso accorto dei social media, che chissà quanti avranno raccolto.

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    Nello specchio deformante della vita reale che sono i social network, i "dislike" possibili sono infiniti, possiedono l' innegabile vantaggio di dare a noi, e come ovvio anche agli altri, la misura di quanto possa essere banale, ripetitivo, futile o francamente imbarazzante il nostro pensiero, ma nel sistema fragilissimo e fin troppo labile dell' educazione a mezzo binario, rischiano di andare in frantumi proprio le poche relazioni a cui teniamo di più, e cioè quelle con gli amici veri.

     

    La gente che vediamo ogni giorno in ufficio, che incontriamo la sera a cena, quelli che sarebbe più facile colpire perché sono più indifesi e da noi si aspettano solo e unicamente sostegno.

     

    Come si sarà capito, ma è giusto a mo' di esempio, detesto i gatti, per cui considero puro stalking mediatico la quantità di mici fotografati di fronte, dall' alto, addormentati, lattanti, soffianti, vestiti e calzati che mi viene quotidianamente caricata in bacheca, e non so più come sottrarmi a chi mi inserisce ex abrupto in gruppi di ascolto e riflessione, anche dieci al giorno, sulle più svariate teorie e temi talvolta opposti ai miei interessi e alle mie convinzioni (scusa, hai visto chi sono i miei amici e che cosa faccio?

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    Ti pare il caso di coinvolgermi in un appello contro gli insediamenti nei territori palestinesi, oppure hai solo bisogno di moltiplicare i tuoi contatti?). Però, non me la sento mai di "lasciare il gruppo", benché vi sia stata inserita a forza, senza lasciare anche una spiegazione, e in tempi di gogna digitale pubblica possibile e continua per quasi tutti, mi sembra il minimo della cortesia non infierire su gusti o litigare per questioni ridicole, per cui subisco i quattrozampe di tutti senza fiatare, sperando solo di non seccare troppo le mie conoscenze invadendo le loro bacheche di pensierini miei.

     

    Immagino però che, con questi presupposti, questi dubbi, questa suscettibilità reciproca e follemente moltiplicata dal palcoscenico apparente dei social, che forse ha solo svelato l' aggressività insita in ognuno di noi, forse l' ha moltiplicata offrendole un megafono, neanche Michel de Montaigne avrebbe avuto il coraggio di scrivere "solo di me stesso", aggiungendo spesso dettagli che avremmo preferito ignorare.

     

    MOLTI PREFERISCONO FACEBOOK AL SESSO MOLTI PREFERISCONO FACEBOOK AL SESSO

    Il dettaglio è infatti la ragion d' essere di ogni autobiografia di successo ("scrivendo di me stesso io non racconto delle azioni, ma svelo la mia vera essenza"), e anche la sua pietra tombale potenziale. Senza un' accurata selezione, e un po' di romanzo, il dettaglio perde di forma, di colore e di consistenza; in ossequio all' ossessione degli amici di Facebook, diciamo pure di sapore.

     

    Nessuno vuole leggere l' agenda quotidiana di chicchessia, nemmeno Marco Travaglio quando rivendica la libera pubblicazione delle conversazioni private mondiali. Non a caso, mentre nei primi anni di boom dei social network le inchieste si concentravano sulla loro frequenza d' uso, ora il focus è sulla qualità di quanto vi si trova, sulla sua effettiva utilità, e sul rapporto di valore fra questi tre fattori.

     

    Per questo, non sono affatto sicura che il "verso pollice vulgus cum iubet, occidunt populariter" di Giovenale avrà così tanto successo anche e appunto in tempi di stupri e bullismi postati per "creare traffico" sul profilo. Non sono per niente certa che gli stessi emoji che usiamo senza misericordia e con ogni serenità negli scambi a due su whatsapp avranno tutto il successo che Zuckerberg si immagina e molto ricerca per sostenere la concorrenza di LinkedIn o di Snapchat.

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    Credo anche che sia patetica l' opportunità di lasciare a un erede il proprio profilo, e la serie di ipotetici autoepitaffi nello stile di Coelho pubblicati in questi mesi da autori e celebrità varie ne è la prova (strepitoso Aldo Nove che cita lo Sri Nisargadatta Maharaji di "Tutto ciò che è spirituale è, ma non esiste. Tutto ciò che materiale esiste, ma non è" segnalando che "Non fa niente se non si capisce" perché "non tutto deve essere capito": seguire l' anima di Aldo Nove sarà un atto di fede).

     

    Ne sono anzi convinta, perché ne ho visto gli effetti reali durante l' estate, nei giorni della scomparsa subitanea di una grandissima comunicatrice, Barbara Volpi Vitti, la donna che lanciò e sostenne in sequenza Valentino, Giorgio Armani e Gianni Versa ce, le prime del Teatro alla Scala come le conosciamo adesso e la Fondazione Umberto Veronesi, una donna spiritosissima, colta e molto abile (rimase celeberrimo il suo ingresso nella Rai di Enrico Manca, direttore generale della Rai, verso la fine degli anni Ottanta: "Scusate, quali tessere bisogna prende re per lavorare con voi?": si misero tutti a ridere e lei riuscì a lanciare i suoi protetti nei programmi di Pippo Baudo).

     

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    Il giorno dopo la sua morte, la figlia ne ha occupato il profilo per postare commenti e lanciare strali contro chi aveva messo in dubbio la sua devozione nei confronti della mamma, provocando l' immediato e rovinoso abbandono di un profilo facebook che tanti di noi avrebbero invece continuato a sbirciare, ogni tanto, anche solo per conforto.

     

    Infatti, molte di noi amiche reali hanno deciso che si troveranno spesso per ricordarla, a casa di una o dell' altra, un po' genere "Il grande freddo", d' accordo, ma per fare due chiacchiere in allegria come le sarebbe piaciuto. Nel frattempo, su Facebook, useremo solo il pollice alzato. Abbiamo bisogno di qualche oasi di pace, almeno nel mondo virtuale. I simboli della rabbia e della noia non ci servono. Veneriamo tutto.

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