Nando Pagnoncelli per il “Corriere della Sera”
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Per la politica il 2019 è stato un anno turbolento, segnato dal cambio di governo, con la nascita di un' inedita maggioranza e la ristrutturazione di gran parte dello scenario abituale. Il Pd che con le primarie di marzo chiude l' epoca renziana; il conseguente ridefinirsi dell' area liberal democratica, riformista moderata, o comunque la si chiami, che appare sempre più affollata, tra cui Italia viva dopo la scissione con la sua nuova formazione e Carlo Calenda con Azione; il centrodestra che ristruttura i propri riferimenti con Salvini che approda definitivamente al partito nazionale, Forza Italia in netta difficoltà, Fratelli d' Italia in crescita e infine la crisi di posizionamento politico e sociale dei 5 Stelle.
GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI
Vale quindi la pena di riassumere l' andamento nel corso dell' anno dei principali indicatori politici. Cominciamo dalle intenzioni di voto. La Lega segnala un piccolo ridimensionamento del proprio consenso: dal 34% delle Europee arriva al 36% di fine luglio, dominato dal blocco delle navi che portano i migranti, scende di 4 punti ad agosto, dopo l' apertura di una crisi che molti italiani non hanno compreso, si attesta a chiusura d'anno ad un pur ragguardevole 32%. Pur rimanendo la principale forza del Paese, non riesce quindi la chiamata alle armi degli elettori («I pieni poteri»), il cui successo era strettamente collegato all' ipotesi di elezioni anticipate, non andata in porto.
GIUSEPPE CONTE LUIGI DI MAIO
Il Movimento 5 Stelle (17,7%) si colloca sostanzialmente al livello registrato alle Europee, poco più della metà del consenso ottenuto alle Politiche. Solo immediatamente dopo la costituzione del governo con il Partito democratico, tra la fine di agosto e gli inizi di settembre, ottiene risultati apprezzabili, presto rientrati. Il Pd, che sino a settembre si era tenuto all' incirca sui livelli delle elezioni europee, perde oltre 4 punti e si colloca al 18% circa dei voti validi.
La scissione renziana, come abbiamo visto dai flussi presentati prima di Natale, produce una fuoriuscita certamente significativa, ma non lo svuotamento nello stile di Emmanuel Macron con il Partito socialista francese. Infine Fratelli d' Italia, stimata sopra il 10%, oltre 4 punti in più rispetto alle Europee. È una formazione che ottiene successi capitalizzando soprattutto i malumori degli elettori dei due alleati, ma capace anche di mobilitare elettori provenienti dall' incertezza o dall' astensione.
renzi zingaretti
I leader vedono andamenti simili a quelli dei partiti. Salvini, che aveva un indice vicino al 60 nella primavera, scende dopo la crisi al 42 e successivamente arretra al 37-38. Sembra quindi che, anche le polemiche recenti intorno al Mes, che hanno visto toni forti, non abbiano prodotto risultati di rilievo per il segretario della Lega. Di Maio arriva a chiusura d' anno ai minimi storici: indice di 21, più che dimezzato rispetto agli inizi dell' anno. Il leader incarna la crisi del Movimento e della sua proposta politica, che non riesce a soddisfare gli elettori di riferimento. È indubbiamente molto difficile per una realtà complessa e variegata, in cui convergono provenienze politiche spesso distanti tra loro. Ma è evidente che una scelta si impone, poiché il rischio è la consunzione dell' esperienza pentastellata.
E le divisioni interne non favoriscono il leader.
SALVINI MELONI BERLUSCONI
Zingaretti si colloca intorno al 25, con un calo dell' appeal registrato immediatamente dopo le primarie. Il suo posizionamento non personalistico è problematico in un momento in cui sono proprio i leader gli interlocutori quasi unici degli elettori. Dall' altro lato il processo di ricostituzione del campo del centrosinistra non sembra avviato, visto anche l' impegno che governare impone. Giorgia Meloni compete ex aequo con Salvini, ora è al 36%.
È l' unico leader che dà segnali di crescita, consolidandosi nella sua area. Agli ultimi posti Berlusconi e Renzi. L' uno che non riesce più ad avere un ruolo centrale e che vede la propria formazione progressivamente dividersi su ipotesi politiche non convergenti, l' altro che non è riuscito, nonostante la scissione e la ripresa di presenza mediatica, a risalire la china del dopo referendum e, anzi, segnala ulteriori piccole contrazioni dovute alla vicenda Open.
Nicola Zingaretti Luigi Di Maio Giuseppe Conte
Infine il governo: l'esecutivo giallorosso si stabilizza intorno al 44, dieci punti sotto il gialloverde, che godeva anche di un consenso elettorale più importante. Il presidente del Consiglio Conte, che nell' immediato dopo crisi aveva mantenuto livelli di apprezzamento maggioritari, oggi se ne colloca poco al di sotto, con un indice del 47. La gestione della manovra non ha aiutato.
Insomma, non sembra esserci al momento un riferimento forte per il Paese. Il centrodestra è saldamente in testa ma il suo leader sembra non riuscire nel salto richiesto per essere punto di riferimento trasversale; il centrosinistra fatica a trovare un' anima e il centro appare affollato, tuttavia senza forze in espansione. Il governo tiene, ma ancora una volta guardando ai propri elettori e senza grandi entusiasmi. È questa la cifra: gli elettori hanno uno sguardo distaccato, in attesa di un miglioramento che però i segnali dell' economia non sembrano preannunciare.