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    “A HOLLYWOOD C’È TANTA IPOCRISIA” - PETER DINKLAGE, STAR DI “IL TRONO DI SPADE”, RANDELLA IL CINEMA AMERICANO: “SONO RIMASTO SPIAZZATO QUANDO SI SONO ESPRESSI CON ORGOGLIO PER AVER INGAGGIATO UN'ATTRICE LATINA NEI PANNI DI BIANCANEVE. DA UN LATO FANNO I PROGRESSISTI E DALL'ALTRO PROPONGONO ANCORA QUESTA STORIA ARRETRATA SU SETTE NANI CHE VIVONO INSIEME IN UNA CAVERNA. LE SCENE INTIME SUL SET? SERVE LA…" - VIDEO


     
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    Estratto dell’articolo di Claudia Catalli per “la Stampa”

     

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    «Il mio metodo per capire se una sceneggiatura è buona è semplice: arrivato alla decima pagina, se ho voglia di andare avanti vuol dire che vale.

    Non sa quanti copioni ho mollato molto prima». Non è uno che la manda a dire Peter Dinklage, star di Il Trono di Spade e protagonista del film di Rebecca Miller She came to me, dal 15 gennaio su Sky, Prime Video e altre piattaforme. È recente la sua uscita contro la finta inclusività di Hollywood: «Sono rimasto spiazzato quando si sono espressi con orgoglio sul fatto di aver ingaggiato un'attrice latina nei panni di Biancaneve.

     

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    Da un lato fate i progressisti e dall'altro proponete ancora questa storia arretrata su sette nani che vivono insieme in una caverna. Che ipocrisia». In She Came to me interpreta invece il compositore Steven Laudden, sposato con la sua psicoterapeuta (Anne Hathaway) e colpito da un blocco di creatività. […]

     

    Steven ritrova creatività grazie all'incontro con una donna, Marisa Tomei. Come avete costruito una chimica così convincente?

    «Merito di Rebecca Miller, che è una bravissima regista perché è anche un'attrice e questo fa la differenza. Poi io e Marisa ci conosciamo da tanti anni, viviamo entrambi a New York che da fuori può sembrare una megalopoli, ma in realtà è un piccolo mondo in cui tutti si conoscono. Almeno, noi attori newyorchesi».

     

    Conoscersi è fondamentale per girare le scene intime?

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    «Eccome. Anche se siamo attori professionisti fa sempre strano presentarsi e poi partire con la scena in cui ci si bacia. Con Marisa invece ci vogliamo bene e abbiamo avuto modo di parlare e scambiarci idee su come rendere le nostre scene al meglio. È stato tutto più facile per entrambi».

     

    Che cosa aggiunge un film come questo alla sua carriera?

    «Il tempo è tutto, nella scelta dei personaggi. Vent'anni fa uno come Steven non lo avrei capito, e non me lo avrebbero neanche fatto interpretare. Perché c'è una grazia, una delicatezza nel comprendere personaggi più maturi che puoi raggiungere solo quando maturi anche tu e capisci la prospettiva di chi si guarda alle spalle e vede una serie di successi e rimorsi. Nulla di deprimente, è solo una prospettiva che oggi condivido anche io».

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    Il giro di boa dei cinquant'anni spariglia le carte in tavola?

    «Mi ha posto di fronte a un bivio e costretto a chiedermi se davvero volessi fare l'attore per i prossimi trent'anni. Chi fa il mio mestiere sa che deve saper affrontare le attese, e magari scrivere, cercare l'ispirazione di continuo. Ecco perché molti passano alla produzione o alla regia, è un modo per tenere vivo il processo creativo nelle pause. Io continuo a provarci da attore».

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    Sembra molto attratto dai personaggi tormentati.

    «L'oscurità fa parte della materia umana. Prenda le commedie, le migliori non sono quelle che fanno ridere, ma quelle che restituiscono l'umanità così com'è, con le sue contraddizioni e le sue ombre. Poi, è vero, ho un debole per i personaggi complessi. Non avrei mai interpretato Cyrano, se non cercassi la complessità».

     

    Per il suo Tyrion Lannister ha vinto 4 Emmy e un Golden Globe. Cosa le manca del Trono di Spade?

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    «L'Irlanda del Nord. Ci ho abitato dieci anni per girare la serie, è stata una grande parte della mia vita. Mi manca molto».

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