FILIPPO SANTELLI per repubblica.it
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Una valanga gialla, il colore del campo pro democrazia. Un messaggio a Carrie Lam e a chi l'ha scelta, cioè il Partito comunista lassù a Pechino: i cittadini di Hong Kong vogliono risposte alle cinque domande che da mesi gridano per strada. Vogliono scegliere chi li governa. Lo hanno ribadito ieri con il voto, l'unico pienamente democratico che è loro concesso.
Il governo di Hong Kong ascolterà "certamente con umiltà le opinioni dei cittadini e rifletterà su di loro con serietà". È l'impegno della governatrice Carrie Lam affidato a una nota, il primo commento dopo la pesantissima sconfitta del fronte pro-establishment. Il governo, ha assicura Lam, "rispetterà il risultato del voto".
Ma Pechino ribadisce: "Hong Kong è parte integrante della Cina, a prescindere dal risultato elettorale". Lo ha detto il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. "Qualsiasi tentativo di danneggiare il livello di prosperità e stabilità della città - ha aggiunto - non avrà successo".
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Le elezioni distrettuali, nei quartieri, solitamente affare di verde pubblico e centri per anziani, si sono trasformate in un referendum sulla protesta di Hong Kong. Il trionfo dei gialli e il tonfo dei blu, il campo governativo e filo cinese, vanno oltre ogni attesa: dei 452 seggi in palio nei 18 quartieri, 388 sono andati a esponenti democratici, che raccolgono nel complesso il 57% dei voti.
Un completo rovesciamento rispetto al precedente rapporto di forza, ma soprattutto il segno dell'avversione per il modo in cui Lam ha gestito il caos di questi mesi. Ignorando le richieste dei cittadini e lasciando solo la polizia a rispondere. Nonostante le violenze dei manifestanti più aggressivi, quelli con archi e molotov, non piacciano a tutti, la maggioranza silenziosa di Hong Kong ritiene che la responsabilità sia del governo e di Pechino.
È stato un voto storico anche per il livello di partecipazione. Fin dal mattino davanti ai seggi si sono formate lunghe file ordinate. In certi quartieri i cittadini hanno aspettato anche due ore per votare. Alla fine il conto complessivo dell'affluenza supera il 70% (dei registrati), quasi tre milioni di persone, il più alto di qualsiasi elezione mai tenuta nell'ex colonia britannica (perfino superiore a quella per il Parlamento, che nonostante sia in parte bloccata a tutela del controllo di Pechino è ben più importante).
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Il campo democratico, e gli Stati Uniti che in queste settimane hanno supportato la protesta, esultano per la vittoria. Mentre sull'altro fronte, in attesa del commento ufficiale di Carrie Lam e di Pechino, i giornali di regime comunisti, che alla vigilia delle elezioni avevano invitato a votare "per fermare la violenza" (dei manifestanti), ora puntano il dito contro le interferenze straniere. Ma sono state delle elezioni "pulite", conferma un gruppo di osservatori arrivato in città. Ai seggi la polizia in tenuta antisommossa è rimasta defilata, nessun disordine. E i presunti brogli del campo pro governo (come gli anziani portati con i bus a votare) non si sono visti, o comunque non sembrano aver condizionato il risultato.
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Eppure, al di là dei guadagni della Borsa di Hong Kong (vicini al 2%), l'effetto di questo voto è tutt'altro che scontato. La pressione su Carrie Lam da parte del suo campo aumenterà, il prossimo anno si tengono le elezioni per il consiglio legislativo, e un'altra sconfitta del genere sarebbe pesantissima. Le chiederanno di farsi da parte, o almeno di far tesoro della batosta e negoziare.
La Chief executive peró ha già mostrato di non avere alcuna autonomia da Pechino, nè quella di andarsene nè quella di trattare sulle richieste del movimento. In una escalation continua di violenze (prima della "tregua" elettorale vista negli ultimi giorni), il governo cinese ha definito i giovani in nero terroristi e la polizia locale usato un pugno sempre più duro. Lam ha di fatto ignorato enormi marce pacifiche, poi condannato la guerriglia, e così tra gli elettori democratici pochi si aspettano che ascolti la voce delle urne. Anche perché la piena democrazia è proprio ciò che la protesta chiede, e che Pechino non è disposta a concedere.
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