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    L’ARTE CONTEMPORANEA HA UN NUOVO SANTUARIO: “THE BROAD”, A LOS ANGELES – UN MUSEO DA 140 MILIONI DI DOLLARI SU 3.000 METRI QUADRATI, CON OPERE DI BASQUIAT, TWOMBLY, RUSCHA, BEUYS, RAUSCHENBERG E JOHNS


     
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    Gabriele Neri per “Il Sole 24 Ore” - Il Domenicale

     

    THE BROAD THE BROAD

    Nel centro di Los Angeles, a pochi passi dalle capricciose curve della Walt Disney Concert Hall, è stato da poco inaugurato The Broad, nuovo museo da 140 milioni di dollari che conferma lo status ormai acquisito dalla Città degli Angeli nel mondo dell’arte contemporanea.

     

    Qui negli ultimi anni hanno infatti aperto importanti gallerie (Maccarone, Sprüth Magers, tra poco Hauser Wirth & Schimmel), cercando di spostare più a ovest di New York il baricentro di un mercato miliardario, in una regione con un’altissima densità di giovani artisti. Più precisamente, The Broad si trova a Bunker Hill, zona nota per l’omonimo romanzo di John Fante – qui si infransero i sogni di successo di Arturo Bandini – e per alcuni edifici che ne hanno segnato la rinascita dopo tempi poco luminosi.

     

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    Oltre alla Concert Hall di Frank Gehry ci sono la cattedrale di Rafael Moneo e la High School for the Visual and Performing Arts dei viennesi Coop Himmelb(l)au; proprio davanti a The Broad si trova anche il Museum of Contemporary Art (MOCA), distintosi negli ultimi anni soprattutto per scandali, dimissioni e licenziamenti.


    Il nome del nuovo museo è dato da Eli e Edythe Broad, coppia di filantropi che da decenni finanzia la vita culturale della città, mantenendo una forte influenza sulle sue politiche. Nel 1979, ad esempio, Mr. Broad – la 185esima persona più ricca al mondo secondo Forbes – contribuiva a fondare il MOCA; più di recente ha elargito 60 milioni per costruire il Broad Contemporary Art Museum del LACMA, firmato da Renzo Piano e inaugurato nel 2008.

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    Il nuovo The Broad nasce per ospitare la collezione di famiglia, stimata intorno a 2,2 miliardi di dollari, con oltre 2.000 opere che vanno dal dopoguerra ai giorni nostri: da Jean-Michel Basquiat a Cy Twombly, da Ed Ruscha a Joseph Beuys, da Rauschenberg a Jasper Johns, insieme a tanti artisti più giovani. Un luogo per esporle, ovviamente, a un vasto pubblico – «to the broadest public» – ma anche per conservarle e tenerle pronte per le domande di prestito. Attraverso la Broad Art Foundation, nata nel 1984, questi capolavori hanno girato i musei di mezzo mondo.


    L’architettura del museo, concepita dallo studio Diller Scofidio + Renfro – autore, tra l’altro, della “High Line” di New York – si struttura proprio attorno a questo binomio, fatto di esposizione e conservazione. Invece di nascondere la parte dedicata ai magazzini, gli architetti l’hanno trasformata nel cuore dell’edificio, posizionandola al primo piano e dandogli un aspetto molto particolare.

     

     Entrando dalla strada si è sovrastati da tonnellate di cemento che modellano una sorta di caverna preistorica, dalla forma organica e sempre diversa, che preme sulla testa dei visitatori. Una scala mobile ne trafigge la dura scorza e conduce le persone nei circa 3.200 metri quadri di gallerie espositive del terzo piano, dove la penombra è sconfitta da una luce ben calibrata.

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    Il soffitto dell’ultimo piano è disegnato da un reticolo di lucernari capaci di regolarne l’intensità, e per lo stesso motivo l’edificio è rivestito con un “velo” composto da 2.500 pannelli di cemento rinforzato di fibra di vetro, a forma di nido d’ape, che filtra il sole californiano e lo trasforma in luce indiretta diffusa. Al sole, il velo di cemento diventa quasi bianco e ricorda un tessuto ricamato, un merletto intrecciato per coprire il nucleo interno, con gli angoli sollevati – come se il vento avesse soffiato sull’edificio – per segnare gli ingressi.

    ELI BROAD ELI BROAD


    Secondo alcuni critici la scelta delle duecento opere esposte nelle gallerie sarebbe poco coraggiosa e prevedibile, piena di nomi troppo noti che non aggiungono molto al dibattito. Vedremo se il prossimo turnover saprà valorizzare anche i tesori nascosti. La risposta del pubblico è stata comunque massiccia, con lunghe code all’inaugurazione e oltre 90mila biglietti prenotati nei primi giorni, complice l’ingresso gratuito ma anche la sicurezza di trovare all’interno i cagnolini di Jeff Koons. Sarà Los Angeles la capitale dell’arte contemporanea dei prossimi anni? Vedremo. Di sicuro sappiamo chi la governa. Info: www.thebroad.org

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