Maria Latella per il Messaggero
La ragazza dei Parioli era una quattordicenne sola in un mondo di adulti troppo presi da se stessi per occuparsi di lei. Adulta era sua madre che accettava i soldi di una quattordicenne. «Dove li prendi?». «Tranquilla, spaccio cocaina».
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Adulto era l'uomo che le procurava i clienti. Anche per lui, evidentemente, i soldi contavano più di ogni altra cosa, inclusa la sua coscienza e la vita di una ragazzina. Adulti, a volte anziani, erano gli uomini che usavano il suo corpo.
Ora Marianna si racconta in uno speciale in due episodi prodotti da Crime+Investigation in onda ieri e questa sera sul canale 119 di Sky. Questa conversazione ha, per me e per lei, soprattutto uno scopo: aprire gli occhi a quei genitori che, per infiniti motivi, preferiscono non sentire, non parlare. Non vedere. Cominciamo dalla Marianna di oggi. Hai 22 anni, un lavoro, un fidanzato.
Come hai ricostruito la tua vita?
«Sono stata in comunità mentre mia madre era in carcere, condannata per sfruttamento della prostituzione minorile. Ho ricominciato a studiare, ho preso il diploma da grafica pubblicitaria e sono tatuatrice. Oggi lavoro in un supermercato, sto al bancone».
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Eri una ragazzina dei Parioli, ma in casa non c'erano soldi. Quanto era, quanto è ancora, importante per una adolescente avere accesso a vestiti, borse, scarpe che costano centinaia o migliaia di euro?
«Possederli, esibirli, mi faceva sentire parte di un gruppo, di un ceto sociale. Oggi per me non hanno valore, non sento il bisogno di appartenere a un gruppo perché sfoggio una borsa, ma per la ragazzina di otto anni fa significava colmare un vuoto.
Comprare quella maglietta costosa significava pensare a me in un momento in cui sentivo che non ci stava pensando nessuno. Era il mio modo di volermi bene. La stessa cosa per i taxi. Ho speso tanti, tanti soldi in taxi. Perché? Perché mi piaceva che qualcuno venisse a prendermi, ad accompagnarmi. Mi sentivo sola e cercavo di non esserlo».
A che età tua madre ha smesso di accompagnarti e venirti a prendere? Qual era il tuo rapporto con lei?
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«Fino ai miei 14 anni il rapporto è stato di fiducia reciproca. Andavo bene a scuola e lei si fidava di me. Poi ho cominciato ad uscire la sera, le dicevo un sacco di bugie e lei si fidava perché fino ad allora ero stata una figlia modello. Se dovessi dare un consiglio ai genitori è quello di non accontentarsi delle risposte dei figli. Parlare, ascoltare, drizzare le antenne quando si capisce che qualcosa non va. I genitori hanno sensori che non possono ignorare».
Tua madre invece per tanto tempo li ha ignorati, quei sensori. Perché?
«Questa è una cosa da chiedere a lei. Ha scelto di non vedere perché era sola e, fondamentalmente, non sapeva cosa fare. Aveva perduto il lavoro, io ero nella fase più difficile dell'adolescenza Ha provato a chiedere aiuto ma non è bastato».
Perché?
«La persona alla quale si era rivolta le consigliò di denunciarmi, ma lei non se l'è sentita. A mia madre avevo detto che i soldi li trovavo spacciando cocaina».
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Sarebbe stato meglio denunciarti?
«Si. Io con mio figlio lo farei. Se non fossi in grado di gestire la cosa lo farei. Certo capisco che per una madre ammettere il fallimento non è facile».
Per mesi, tra il luglio e l'ottobre di otto anni fa, la tua vita di quattordicenne è stata quella di una squillo. Ma gli adulti attorno a te non se ne accorgevano? Tua madre, tua nonna, i professori quando è iniziato l'anno scolastico Nessuno diceva niente?
«Mia nonna è una grande donna, una lavoratrice, ma io in quei mesi la vedevo poco, un paio di volte a settimana. Si era accorta del fatto che stavo male, ma con gli adolescenti gli adulti tendono a pensare è l'età».
E tua madre?
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«Mia madre sa di aver sbagliato. Quando è uscita dal carcere e anche prima si è scusata tanto e ha tanto pianto. Non era lei a chiedermi i soldi, glieli davo io per aiutarla. Vorrei dire a quei genitori che fanno finta di non vedere perché non sanno cosa fare Chiedete aiuto, invece. È un segno di forza e non di debolezza».
Ma la scuola? Neanche a scuola tra settembre e ottobre si sono accorti di niente?
«Andavo al Giulio Cesare. Un paio di professoresse mi hanno avvicinato per dirmi Non buttarti via. Ma poi ho smesso proprio di andarci a scuola e allora hanno cominciato a chiamare mia madre. Guardi che se sua figlia non frequenta deve ritirarla da scuola».
Tutto qui?
«Sì, ma anche quando le professoresse hanno provato a parlarmi, io non le ascoltavo».
Perché?
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«Perché non mi fidavo degli adulti e non riconoscevo l'autorità. Ero convinta di poter capire e imparare tutto da sola. La svolta c'è stata quando ho cominciato a uscire la sera. Stare fuori di notte mi faceva sentire adulta. Mia madre mi diceva Torna a mezzanotte.
A mezzanotte a quattordici anni ?
«Si ma io comunque tornavo alle 3, alle 4. Ero una bambina convinta di essere diventata adulta. E per mia madre non era facile gestirmi. Era da sola».
Un consiglio alle mamme che si trovano da sole a gestire l'adolescenza?
«Tenete unita la famiglia. Separarsi non significa odiare il proprio ex. Bisogna mettere da parte la rabbia, anche le ragioni di rancore, e concentrarsi sul figlio. Pensare a lui per primo». Poi c'erano gli altri adulti. L'uomo che vi procurava i clienti «Negli anni della comunità ho cercato di pensare a me e basta. Quell'uomo ci ha usato, come tanti altri si è servito dei nostri corpi. L'ha fatto per denaro, ma chi fa una cosa del genere deve avere un tale vuoto dentro».
Lui vi vendeva. E gli altri, gli uomini che vi compravano?
«Ci sono tre ipotesi. O credevano alla nostra bugia, quando dicevamo di avere 18 anni e non si accorgevano della differenza tra una quattordicenne e una diciottenne. O si tappavano gli occhi. Oppure».
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Oppure?
«Oppure... Oppure gli piaceva. Sapevano ed erano attratti da noi per quello. Perché eravamo ragazzine. Comunque c'è un altro gruppo di adulti che dovrebbe vergognarsi. Quelli che mi hanno catalogato con due parole messe in croce. Che hanno scritto il mio nome sui giornali anche se ero minorenne».
Noi giornalisti insomma.
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«Quelli che chiedevano Quanto prendevate per un rapporto a tre? O che hanno titolato Minorenni si prostituivano per la cocaina. No: le minorenni si prostituivano perché avevano un problema. Ho deciso di partecipare a questo documentario anche per far sentire la mia campana. In tv hanno mandato in onda un'intervista che non ho mai fatto, con una voce mascherata. Io a 14 anni mi prostituivo per soldi, ma loro, loro non l'hanno fatto per soldi? Quelli che in tv o sui giornali hanno scritto senza pensare alla violenza che stavano usando contro di noi perché l'hanno fatto?».
E oggi? Hai fiducia nella gente o no?
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«Si, ho fiducia nel genere umano perché se ce l'ho fatta io possono farcela tutti. Basta uscire dalla bolla immaginaria che a volte ci imprigiona. Ho fiducia, sì. Se no non avrei fatto il documentario. Il mio ragazzo, i miei familiari sono preoccupati delle conseguenze Ci saranno commenti negativi, di nuovo. Ma ho fiducia. Anche nei telespettatori».
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