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    "A NEMBRO OGNI SERA CONTO I MORTI. UN ABITANTE SU 2 E’ POSITIVO. LO STATO È INCAPACE DI PROTEGGERCI" - IL SINDACO DELLA CITTADINA VICINO BERGAMO FLAGELLATA DAL VIRUS: “160 MORTI E STIMIAMO ALMENO IL 50% DELLA POPOLAZIONE CONTAGIATA. VORREI FARE TEST DI MASSA DEGLI ANTICORPI, PER EVITARE RECRUDESCENZE. IL FUTURO? NON RIESCO A PENSARCI"


     
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    Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”

     

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    «Facciamo presto. Devo ancora fare la conta dei morti. E poi ho la giunta. Ne facciamo tre al giorno, su Skype.

    L' ultima alle 9 di sera, quella più lunga». Claudio Cancelli, insegnante di fisica in pensione, è un sindaco di guerra. La sua Nembro, 11500 abitanti in provincia di Bergamo, è stata flagellata dal coronavirus: 76 morti e 210 contagiati ufficiali. «Ma noi abbiamo contato 160 morti e stimiamo almeno il 50% della popolazione contagiata. Vorrei fare test di massa degli anticorpi, per evitare recrudescenze».

     

    Com' è adesso la situazione?

    «Il nostro mondo è stato stravolto. In un anno normale avevamo un morto ogni tre giorni. A marzo una media di 5 morti al giorno, con punte di 10. Ora siamo a 3. E tanto basta per vedere un filo di luce».

     

    Come vi siete organizzati?

    «Abbiamo dirottato sull' emergenza 7 dipendenti comunali e 115 volontari per gestire ogni tipo di servizio. Un centralino che riceve 50 telefonate al giorno. La consulenza legale gratuita per divieti e multe. La consegna di farmaci e pasti a domicilio. Gli accordi con gli idraulici per gli anziani a cui si rompe la caldaia. Uno sportello notarile per le successioni».

    claudio cancelli claudio cancelli

     

    E dal punto di vista sanitario?

    «La ricerca delle introvabili bombole di ossigeno, anche in altre valli. L' assistenza ai pazienti dializzati positivi al covid, che non fa né l' Asl né la Protezione civile. Se non li accompagniamo noi, muoiono in casa».

     

    Le famiglie colpite da lutti sono state aiutate?

    «Abbiamo chiamato un' associazione di psicologi specializzata in traumi da catastrofi come i terremoti».

     

    Anche voi avete dovuto portare i morti lontano?

    «Fortunatamente avevamo parecchi loculi disponibili. Li abbiamo usati come spazi temporanei. Piuttosto a un certo punto non sapevamo più come registrarli».

     

    In che senso?

    «L' ufficio anagrafe non esisteva più: un impiegato morto, gli altri tre contagiati. Altre due dipendenti hanno cambiato ufficio, guidate al telefono. Una pensionata è venuta a lavorare gratis».

     

    Siete stati aiutati?

    «Abbiamo fatto tutto da soli. Sopravvissuti grazie ad atti di eroismo civile. Non aspettando che arrivassero "i nostri", da Roma o da Milano».

     

    Come comunica con i cittadini?

    «Ogni sera registro un messaggio che automaticamente per telefono raggiunge oltre duemila persone. Un bollettino di giornata. Soprattutto le persone sole aspettano la mia voce».

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    Oggi cosa ha detto?

    «Un richiamo al rispetto delle norme, perché abbiamo segnalazioni di passeggiate sui sentieri. E informazioni sulle agevolazioni fiscali».

    Cose tecniche.

    «Altri giorni vado sui sentimenti. Qualcuno poi mi chiama perché l' ho fatto piangere».

     

    Capita anche a lei?

    «Una volta, quando le sirene delle ambulanze non davano tregua. Ho scritto il messaggio, ho provato a registrarlo ma non ce l' ho fatta. La voce si spezzava».

     

     

    Perché?

    «Era appena morta un' ostetrica, molto generosa e conosciuta da tutti in paese.

    Ero vinto dall' impotenza e da un senso di solitudine nel dolore».

     

    Ora qual è il suo sentimento prevalente?

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    «Quando raccolgo i nomi dei morti lo sconforto. E delusione di fronte alle polemiche tra politici, alle diatribe tra Regione e governo».

     

    Vi siete sentiti abbandonati?

    «Non ci siamo sentiti protetti. Lo Stato è stato incapace di gestire anche gli aspetti organizzativi e logistici più semplici.

    E non ci sono state direttive chiare e uguali per tutti».

     

    Pensa al vostro futuro?

    «Non riesco ancora a farlo».

     

     

    Perché?

    «Mi chiedo come e quando ne usciremo. Bisognerà evitare nuovi contagi, quando si tornerà a una vita più o meno normale. Sostenere le imprese. Aiutare chi ha bisogno, magari con meno complicazioni burocratiche dei buoni spesa».

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    Quanto è arrivato dal governo?

    «Per l' assistenza sociale 63 mila euro».

     

    Bastano?

    «Non penso. Per fortuna abbiamo oltre 100 mila euro di donazioni private».

     

    La guerra è finita?

    «Non ancora. Ma bisogna già pensare a vincere il dopoguerra».

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