Marco Imarisio per il corriere.it
Raffaele Grassi prefetto di Padova
Mobilitiamoci, dicono tutti. Come se fosse facile, e per fare cosa, poi. L’hanno definita la lista nera, oppure, in alternativa la lista dei cattivi ragazzi, ma sono astrazioni buone al massimo per un titolo di giornale o di notiziario. È il numero che colpisce. Sono mille, e poco importa se si tratta di una cifra tonda o meno. Qualche giorno fa il prefetto di Padova Raffaele Grassi, «vigile ma non preoccupato», annuncia la nascita di un Osservatorio sul disagio giovanile, per contrastare il fenomeno delle mega risse tra ragazzi che sembrano diventate un appuntamento fisso del sabato cittadino.
Risse a Padova tra ragazzi
A margine, fornisce qualche numero. Polizia e Carabinieri hanno provveduto a identificare circa un migliaio di ragazzi tra i 14 e i 18 anni di età, con i loro nomi che Grassi ha segnalato ai rispettivi Comuni di residenza. «Quasi tutti provenienti dalla provincia, molti dei quali stranieri di seconda generazione, che nel fine settimana si danno appuntamento tramite i social per fare a botte».
I fatti
La prima volta fu il 15 gennaio, e non volò neppure uno schiaffo. L’evento e il luogo erano stati così annunciati sui social che a Prato della Valle, la piazza più grande della città, luogo di passeggio e di aperitivi, erano schierati reparti mobili giunti dall’intera regione. La replica avvenne sette giorni dopo, e si trasformò in un rimpiattino tra forze dell’ordine e ragazzi, concluso dietro il piazzale della stazione, tra via Trieste e la confinante piazza De Gasperi, nella zona fino a pochi anni fa più malfamata.
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Anche qui, solo qualche scaramuccia e un gran lavoro di individuazione da parte delle forze dell’ordine, all’altezza dei due capolinea del tram. Nome, cognome, e documento di identità, niente più di questo. Ragazzi senza alcun precedente penale nella stragrande maggioranza dei casi, che nelle settimane successive ci hanno riprovato, con scarso successo.
Resta quella cifra, mille e non più mille, esorbitante anche per una città che è la tredicesima più grande d’Italia, ma con duecentomila abitanti non ha certo ritmi, tempi e alienazioni da metropoli. E soprattutto manca una vera causa, che certo non giustificherebbe, ma forse aiuterebbe a capire.
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All’inizio, ben prima del 15 gennaio, si è trattato dello scontro tra bande diverse, entrambe della zona dell’Arcella, il quartiere a ridosso della stazione. Era la Vigilia di Natale, c’era un discreto numero di coetanei estranei alla contesa ma muniti di telefonino per riprendere la scena. Ben presto si è persa la memoria del pretesto iniziale.
«Solo i primi eventi sono riconducibili a dinamiche da gang. Poi è diventato altro, un appuntamento fisso che si è aperto a tutti i giovani della città. La rissa stessa ha perso ogni ragione di rivalsa, è diventata un semplice momento di aggregazione, chi vuole ci sta, chi vuole assiste, comunque l’importante è esserci».
Lo studente
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Marco Nimis sa di cosa parla. Quei ragazzi li conosce, non fosse che per una semplice ragione anagrafica. Ha diciotto anni, lo scorso giugno si è diplomato al liceo Cornaro, dal 2019 è coordinatore regionale della rete degli studenti medi. Con il garbo che è proprio di chi è ormai abituato a fare politica, contraddice anche l’identikit rilasciato dal prefetto, e una strisciante distinzione tra alto e basso dei ceti sociali. «Non sono solo ragazzi del circondario, ci sono anche tanti miei coetanei che frequentano le scuole del centro, è diventata una moda quasi trasversale».
Certo, Padova non è il Bronx degli anni Settanta, e le risse non sono un fenomeno solo locale. Appena ieri, la notizia di undici ragazzi di Monselice, italiani di seconda o terza generazione, indagati per associazione a delinquere «finalizzata agli atti violenti». Ma qui c’è una dimensione di massa e soprattutto non c’è un vero perché.
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È legittimo accontentarsi del bicchiere mezzo pieno, in fondo non è successo nulla, e le uniche denunce sono arrivate perché i ragazzi identificati erano privi di mascherina. «Questi eventi sono falliti» dice il sindaco Sergio Giordani, che guida una giunta di centrosinistra e a maggio sul tema della sicurezza reale o percepita si giocherà la rielezione. «Lo ritengo un fenomeno marginale, e passeggero. Con la fine del Covid, i ragazzi torneranno a fare altre attività, e questa rabbia che tentano di scaricare passerà».
Il prefetto
Anche il prefetto Grassi derubrica gli appuntamenti del sabato a effetti collaterali della pandemia. «Sono giovani che cercano lo scontro sulla base dell’appartenenza a un Comune, o a una singola scuola piuttosto che un’altra» aggiunge, lodando la virtù dell’intervento preventivo. Sostiene invece Nimis che il virus e i lockdown hanno senz’altro influito, ma non spiegano tutto.
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Anni fa, per arginare i fenomeni di spaccio e delinquenza, l’area dietro la stazione venne spianata per farci un piazzale con parcheggio. Adesso stanno per essere costruite in tutta la città una dozzina di spazi pubblici per l’attività ricreativa e sportiva. Chissà se serviranno. Non per buttarla in sociologia, ma davanti a quel numero così esorbitante, anche qualche domanda bisognerebbe pur farsela.