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Laura Anello per “la Stampa”
Varcare la sua soglia, immergersi nel blu delle pareti e nell' argento delle scritte, è come fare un tuffo in uno dei racconti della principessa Sherazade. Favolistico, irreale, perfino incongruo. Già, perché questa «Camera delle meraviglie» è apparsa come in una fiaba dietro l' intonaco di un' antica casa del centro storico comprata da una coppia di professionisti: Giuseppe Cadili e Valeria Giarrusso.
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La stizza per un'infiltrazione d' acqua seguita a un temporale, due anni fa, ha lasciato il posto allo stupore della scoperta del primo tassello blu, e poi dello straordinario florilegio di scritte e di decori. «Araba», azzardarono i primi osservatori venuti qui da ogni parte di mondo. «Una moschea», aggiunsero altri.
STUDIOSI AL LAVORO
Ma adesso è un gruppo di studiosi dell' Ioa, l' Istituto di Lingue orientali e asiatiche dell' Università di Bonn, a dire l' ultima parola su un mistero indagato anche da un documentario presentato anche all' Expo. La «Camera delle meraviglie» altro non sarebbe che un luogo dove si praticavano culti di valore magico o sufico a metà del 1800.
Questo dicono i riferimenti simbolici al numero cinque: cinque come i pilastri dell' Islam (la professione di fede, la preghiera, il digiuno, le donazioni, il pellegrinaggio alla Mecca), cinque come le preghiere quotidiane di un musulmano.
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Questo dicono le massime del profeta Maometto, i talismani per chiedere protezione, la scritta che ricorre per tutte le pareti: «Quello che Dio vuole accade, quello che Dio non vuole non accade». Un enigma decifrato da Sarjoun Karam, arabista, poeta e docente di Arabo; Chiara Riminucci-Heine, archeologa e iranista; Sebastian Heine, iranista e specialista in lingue orientali. Insomma, un piatto ghiotto per gli appassionati di esoterismo di ogni latitudine, e uno straordinario simbolo di interculturalità in una città il cui itinerario arabo-normanno ha appena avuto il riconoscimento Unesco di patrimonio dell' umanità. «Un luogo unico al mondo», secondo gli studiosi di Bonn.
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Ma gli studiosi tedeschi affermano un' altra cosa ancora più curiosa: a realizzare la stanza non fu un arabo, ma artigiani locali che dell' arabo non sapevano una parola, e che copiarono - facendo errori - le affascinanti volute di quei caratteri. Un' imitazione. Un rabbisco, per dirla alla siciliana, retaggio dell' arabesco. Apparentemente, un punto a favore dei detrattori che subito hanno bollato la stanza come un falso, sbertucciando pure il presidente della Lega islamica in Italia Farid Iskander al-Khotani, accorso qui l' anno scorso a interrogarsi davanti alle scritte misteriose.
Una impostura Ma in realtà la storia adesso è ancora più gustosa. E rimanda alla più celebre impostura della storia siciliana, quella avvenuta nel Settecento e resa celebre da Leonardo Sciascia nel suo «Consiglio d' Egitto». Protagonista l' abate maltese Giuseppe Vella, che - per ingraziarsi i re Borbone - inventò di suo pugno due codici diplomatici in falsa lingua araba capaci di smantellare i secolari privilegi feudali dei baroni, i potenti dell' Isola di quel tempo, nemici della Corte.
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Provocando una tempesta politica. Grazie a un' opera di sapiente artigianato, realizzata in casa con colori e pennini, ottenne una cattedra all' Università prima di essere smascherato dallo storico e giurista Rosario Gregorio e finire condannato a quindici anni di galera (entrambi poi sepolti, ironia della sorte, nella stessa chiesa di Palermo, quella di San Matteo e San Mattia). Certo è pure che da quell' episodio di cui parlarono i nobili siciliani per generazioni, tra parrucche e crinoline, si sviluppò tutto un gusto neo-arabo di cui anche la Camera delle meraviglie sembra espressione.
Un ritorno al gusto moresco, sei-sette secoli dopo la scomparsa degli emiri dalla Sicilia.
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Moschea o no, araba o no, i padroni di casa l' hanno appena mostrata a oltre seimila visitatori aprendola per cinque domeniche alla città. Cinque, come il numero sacro.