Luigi Guelpa per ''il Giornale''
«Mi sento bene e non vedo l' ora di tornare in Italia. Sono stata forte e ho resistito». Silvia Romano l' ha fatto per 536 interminabili giorni di prigionia, nonostante il movimento vorticoso di voci, di smentite, e, purtroppo, di notizie poco attendibili confezionate dai media subsahariani. L' annuncio del suo rilascio è arrivato ieri pomeriggio dal premier Giuseppe Conte, che in un tweet ha rivelato la notizia, ringraziando «le donne e gli uomini dei servizi di intelligence esterna. Silvia, ti aspettiamo in Italia!».
La volontaria della onlus Africa Milele era stata rapita il 20 novembre del 2018 in Kenya, nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi. Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Roma e dai carabinieri del Ros, era tenuta prigioniera in Somalia da uomini vicini al gruppo jihadista Al Shabaab, l' organizzazione somala affiliata ad Al Qaida e considerata ostaggio politico.
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Silvia è stata portata ieri pomeriggio in un compound a Mogadiscio, dopo essere stata liberata venerdì notte a 30 chilometri dalla capitale nel corso di un' operazione a cui hanno preso parte agenti somali, turchi e italiani. In Somalia, infatti, Ankara gestisce una grande base militare dove soldati turchi addestrano militari locali. L' aereo dei servizi segreti che la riporterà in Italia oggi alle 14 a Roma era decollato ieri mattina da Ciampino.
La trattativa del rilascio è stata condotta dall' Aise diretta dal generale Luciano Carta e si sarebbe sbloccata a metà aprile.
Una volta che i nostri 007 hanno avuto la prova che fosse in vita, sono partite le trattative per stabilire il prezzo del rilascio. Il governo italiano ha negato almeno per il momento che sia stata versata una cifra per la liberazione, anche se funzionari vicini al ministro degli Esteri somalo Ahmed Isse Awad sostengono che l' Italia abbia pagato ai rapitori una cifra vicina ai 4 milioni di euro.
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Dopo la liberazione la volontaria ha parlato al telefono con la mamma Francesca e con il premier Conte. «È provata ovviamente dallo stato di prigionia, ma le sue condizioni di salute si possono considerare buone», ha riferito il presidente del Copasir, Raffaele Volpi. Il rapimento di Silvia Romano era stato pianificato a Eastleigh il quartiere somalo di Nairobi, chiamato anche «la piccola Mogadiscio».
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All' apparenza un immenso bazaar, ma soprattutto sede della Moschea della Sesta Strada, conosciuta come la più oltranzista, covo di miliziani di Al Shaabab e di loro simpatizzanti. Da Eastleigh proveniva Said Abdi Adan, l' uomo che arrivò a Chakama assieme a due complici per affittare una casa a pochi passi dalla sede dell' Ong Africa Milele, dove viveva e lavorava Silvia. Il loro incarico era quello di tenere sotto controllo la situazione, tentando di valutare il momento propizio per rapire la giovane.
I sospetti che Silvia fosse stata «venduta» a più bande fino a raggiungere una roccaforte qaidista hanno trovato con il trascorrere dei mesi decisivi riscontri. Qualcosa del genere era accaduto in un recente passato con i rapimenti della turista britannica Judith Tebbutt, di quella francese Marie Didieu e delle cooperanti spagnole Montserrat Serra Ridao e Blanca Thiebaut, tutte sequestrate in Kenya da predoni locali, affidate ad Al Shaabab e trasferite nel Sud della Somalia (in una logica di controllo del territorio) in attesa del pagamento del riscatto.
Il mondo delle istituzioni ha gioito alla notizia della liberazione della ragazza. Su tutti il presidente Mattarella, che in una nota del Quirinale ha fatto sapere che «la notizia della liberazione di Silvia Romano è motivo di grande entusiasmo per tutti gli italiani. Invio un saluto di affettuosa solidarietà a Silvia e ai suoi familiari, che hanno patito tanti mesi di attesa angosciosa».
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