Cristian Martini Grimaldi per "il Venerdì - la Repubblica"
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Tokyo. Sono tutti in coda, spalle a un murale di Someity, la rosa mascotte dei Giochi in versione tennista. Quando la security spalanca i cancelli, una trentina varcano l' ingresso. Sono i volontari delle Olimpiadi «venuti a fare pratica di guida», mi dice Atsushi l' ultimo della fila.
Pratica di guida? «Dovremmo imparare a guidare auto speciali a idrogeno, facciamo qualche giro nel parcheggio qui dietro finché non ci giudicano idonei». Il parcheggio di cui parla Atsushi con tanta nonchalance, da molti a Tokyo è in realtà considerato una necropoli che sarebbe degna meta di pellegrinaggi non fosse che è ridotta a un' anonima spianata di cemento.
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Prima di far spazio ai Giochi qui sorgeva il mercato del pesce più grande del mondo, lo storico Tsukiji. L' enorme spiazzo che oggi ne ha preso il posto avrebbe dovuto fluidificare il traffico verso i vari impianti sportivi e rendere meno caotica una città-nazione che secondo le stime pre-Covid doveva accogliere 40 milioni di turisti. E invece...
Nel vigilatissimo linguaggio giapponese non esiste neppure una parola per descrivere un flop del genere, ci si ferma a “dai shippai”: grande fallimento.
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Tra i volontari spuntano atletici impiegati comunali: «Sono un ex campione di ping pong, gli eventi sportivi importanti me li faccio tutti» dice Hiroki. Casalinghe nostalgiche di atmosfere transnazionali: «Sa, io ho studiato in Canada dodici mesi, tanti anni fa...». O studenti col pallino dello snowboard che d' estate s' annoiano: «Sono qui perché l' università chiude».
I volontari sono l' unico gruppo sociale che prova ancora un minimo di affetto per queste Olimpiadi dannate, eppure anche loro - in diecimila - hanno gettato la spugna.
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Quando nel 2013 Tokyo si aggiudicò i Giochi del 2020, aveva il sostegno del 70 per cento della popolazione. Negli ultimi sondaggi solo 14 giapponesi su 100 si dicono favorevoli a farli a luglio.
Per dire, a favore della pena di morte sono 8 giapponesi su 10. Ma il Comitato olimpico internazionale ha deciso, i Giochi si faranno, apertura tra poco più di un mese, il 23 luglio. E col Covid in qualche modo ci si arrangerà.
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Queste di Tokyo più che al motto di de Coubertin fanno pensare alla legge di Murphy. Se qualcosa poteva andare storto c' è andato. All' inizio si trattava solo di posticiparle dal 2020 al 2021.
Poi si è capito che avere spettatori stranieri poteva essere un problema. E ora anche gli spettatori giapponesi sembrano essere di troppo. Si fatica a raggranellare perfino i soldi per il rimborso dei biglietti. E pochi giorni fa un alto dirigente del comitato olimpico giapponese si è tolto la vita gettandosi sotto un treno.
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Se ci fossero le elezioni domani e un partito si presentasse col simbolo "No alle Olimpiadi" (non proprio fantascienza, esiste già un partito in parlamento che si chiama "No alla Nhk", la Rai locale) strapperebbe una valanga di consensi. L' unica vera chance per ridestare l' evento dallo stato comatoso, sarebbe una bella scarica di vaccini. Garantirli a una buona fetta della popolazione entro luglio non era proprio una mission impossible, visto che c' è riuscita perfino l' Italia, che qui è sinonimo di magnifico caos. E invece meno del quattro per cento dei giapponesi è integralmente vaccinato.
AUTOCONTROLLO E DIFFIDENZA
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«Sumimasen» (scusi lei?). Una guardia si è accorta che col gruppo di volontari non c' entro niente. Me la svigno sbucando dal secondo grande cancello proprio di fronte la sede dell' Asahi Shinbun. Il grande quotidiano sponsor dei Giochi proprio pochi giorni fa con un editoriale ha fatto dietrofront affossando la scelta del primo ministro Yoshihide Suga di andare avanti, chiedendogli formalmente di ripensarci.
Le parole usate riflettono in pieno lo stato d' animo popolare: se è teoricamente possibile controllare la maggior parte dei movimenti degli atleti, per quanto riguarda tutti gli altri (stranieri è il sottinteso) il successo dipenderà in gran parte dalla loro disponibilità a "praticare l' autocontrollo". In giapponese si dice jishuku.
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Che in buona sostanza vuol dire: anche se non sono obbligato dalla legge, se solo mi viene un lieve mal di gola per precauzione mi autorecludo in casa per 14 giorni e mangio solo quello che mi porta Uber Eats.
OCCHIO AI GAIJIN
Haruki, papà di una bimba di tre anni, lo trovo davanti al monumento dei Cinque Cerchi, nei pressi del grande Stadio nazionale che, vista l' aria, sembra di colpo diventato un relitto post-apocalittico. «Guarda le varianti che ci sono e come il virus si è diffuso in India e Brasile. E noi dovremmo aprire le porte a migliaia di queste persone?». Il caro spirito olimpico (lo sport ha regole non frontiere) può così andare a farsi benedire. Domando allora a Hiroaki Yoshii, sociologo alla Nihon University, se la tradizionale fobìa dello straniero possa trasformarsi in questo clima in una seconda epidemia: «Beh, basterebbe domandarsi come mai un comico qui possa fare certe battute senza dare troppo scandalo, anzi».
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Si riferisce a un' uscita su Naomi Osaka (tennista giapponese di padre haitiano) e sull' uso che avrebbe dovuto fare della candeggina per scolorirsi. Per la cronaca lei ha risposto con un tweet autoironico «ammettendo» di essere troppo abbronzata. Va anche detto che i gaijin (stranieri) ce la mettono tutta per non smentire il cliché dell' inaffidabilità. Un reporter della Reuters, dopo una vacanza a dicembre, è rientrato a Tokyo portando con sé la temuta variante inglese.
E nonostante il dovere dell' auto-quarantena si è imbucato a una festa scatenando l' ennesimo focolaio. Ad oggi in Giappone sono ancora dieci le Prefetture in Stato d' emergenza, e malgrado un robot a 13 braccia che riesce a eseguire più di 2.500 test in appena 16 ore, una vera idra dell' hi-tech, ci sono serie preoccupazioni che una nuova ondata mandi in tilt il sistema. I governatori hanno affermato chiaramente che non saranno in grado di fornire letti per eventuali pazienti «legati alle Olimpiadi».
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Tomohiko Nakamura, docente di economia alla Kobe International University, teme che «se verranno introdotte nuove varianti sarà necessario dichiarare un nuovo stato d' emergenza a settembre-ottobre, il che danneggerà ulteriormente l' economia». Economia che già segna un profondo rosso, mentre solo i Giochi, dai 7,5 miliardi di dollari previsti in partenza, arriveranno a costarne 28.
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Sessanta sponsor hanno investito nelle Olimpiadi 3 miliardi e il gigante pubblicitario Dentsu, pesantemente coinvolto nell' evento, per risanare i conti sta valutando la vendita di un palazzo di 48 piani a Tokyo del valore di 2 miliardi e mezzo. D' altra parte, ci ricorda Taisuke Matsumoto, docente di Scienza dello sport alla Waseda University, se prima della pandemia molti brand pubblicavano quotidianamente annunci attinenti ai Giochi, dall' anno scorso hanno sospeso ogni spot a causa del crescente movimento anti-olimpico: perché legare il proprio marchio a qualcosa che tutti detestano?
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GIÙ LE MANI DAGLI ALBERI
Al di là dei sondaggi, per capire il grado di allergia ai Cinque Cerchi bisogna andare allo Yoyogi Park. Pochi giorni fa la governatrice Koike aveva annunciato che qui si sarebbe allestito un maxischermo per una gioiosa visione collettiva dell' evento. Neanche aveva finito di infilarsi in tasca le note del comunicato che su twitter la prendevano a pomodori in faccia. Anche perché il piano prevedeva il taglio di diversi alberi. «Ed è un vero spreco» mi dice quasi disgustato un pensionato che qui viene a passeggio tutti i giorni. Masaru, cinquantenne brizzolato, libero professionista, precisa: «Le facciano pure le Olimpiadi, ma la quarantena dovrebbe essere imposta come si fa altrove...».
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Mentre una coppia di anziani, tra i pochi già benedetti dalla doppia dose di vaccino, non più spaventati dal virus temono ora lo stravolgimento del palinsesto tv: «Se fanno i Giochi la Nhk li trasmetterà 24 ore su 24. Che fine faranno i nostri programmi preferiti?». Il solo che in questo sondaggio artigianale appare più ottimista è un 66enne pensionato che fa stretching all' ombra d' un cipresso: «Fare le Olimpiadi sarebbe un incredibile spot per il Paese. Tutti direbbero: vedi, solo un Paese avanzato come il Giappone poteva fare i Giochi in piena pandemia. Entrerebbe negli annali!».
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E invece negli annali il Giappone probabilmente ci resterà per il numero più alto di no vax tra i Paesi dell' Ocse. Solo tra Tokyo ed Osaka, 7.400 over 65 hanno disertato la chiamata all' inoculazione. Un disagio, quello di molti giapponesi nei confronti dei vaccini e delle aziende farmaceutiche straniere, che arriva da lontano. L' ultimo episodio risale ai primi anni 90, quando furono registrati alcuni casi di meningite asettica dopo l' inoculazione del vaccino combinato contro morbillo, parotite e rosolia.
Vaccini giappone
Oggi il 35 per cento dei giapponesi che si informano attraverso tv, radio o giornali si dichiara contro il vaccino.
Mentre la percentuale sale al 50 tra chi si informa via social: uno su dieci risponde che non vuole iniettarsi "ibutsu", termine generico per dire "sostanze estranee".
Tra questi c' è Kenta. Da settimane è a Shibuya con un gruppetto di no vax.
Mi recita a memoria: somministrare un vaccino significa modificare geneticamente il corpo, gravi effetti collaterali si possano verificare anche tra dieci o venti anni, il coronavirus è davvero così pericoloso? E infine, il sospetto numero uno, praticamente una prova: il ceo della Pfizer ha venduto milioni di dollari di azioni al loro picco, in circostanze normali non lo avrebbe mai fatto. «Tutto ciò» conclude Kenta «non ti fa pensare che il vaccino nasconda qualcosa?».
Proteste Tokyo
Miho, 31enne, ascolta i teoremi complottisti colta da un dilemma amletico: «Io non so ancora se farlo o no. Credo che aspetterò di vedere quello che fanno gli altri...». E questo è di gran lunga l' atteggiamento più comune, tipicamente giapponese. Portare pazienza aspettando di vedere come si muoverà la massa. In Giappone immunità di gregge ha tutto un altro significato.