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    BULLI RIPIENI DI MERDA – A VIGEVANO UN 15ENNE PORTATO A SPASSO IN CATENE COME UN CANE E VIOLENTATO CON UNA PIGNA: 4 MINORI ARRESTATI – LA BABY GANG POSTAVA GLI ABUSI SUI COETANEI SUI SOCIAL- LA MADRE DELLA VITTIMA: "COLPA MIA, ME NE SONO ACCORTA TROPPO TARDI"


     
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    Andrea Galli per il Corriere della Sera

     

     

    La strada principale d' entrata e uscita, una decina di viette a fondo chiuso, la chiesetta e l' ancor più piccolo oratorio, i confini delimitati dai larghi campi e dalla stretta piazzola di sosta dei bus degli studenti, a margine della statale: ogni giorno la vittima provava a seminare i carnefici e finiva sempre in trappola.

     

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    Nelle vie degli orrori La geografia delle violenze e dei silenzi, delle persecuzioni e dell' omertà, del bullismo divenuto da subito bestialità è un' anonima, isolata frazione di Vigevano che comincia con una prostituta in attesa sulla sedia, prosegue per cascine a volte ristrutturate a volte andate in malora, e termina sull' unico ponte che attraversa il canale d' irrigazione.

     

    È stato, questo, il luogo d' iniziazione del branco, il luogo dove un quindicenne esile e timido, solitario e pacifico, figlio unico, è stato denudato, messo a testa in giù, bloccato da due coetanei mentre un terzo lo stuprava con una pigna e altri due riprendevano la scena con i cellulari, per goderne e condividere con gli amici.

    BABY GANG DI PAVIA BABY GANG DI PAVIA

     

    Quattro, coetanei, sono in cella nel carcere minorile Beccaria. L' ultimo è libero solo perché tredicenne e non imputabile. Ma ha eguali colpe, elemento della gang che dopo interrogatori protetti e atti secretati, la Procura dei minorenni di Milano ha punito alla stregua dei criminali dei clan che infestano la provincia pavese: concorso in violenza sessuale, riduzione in schiavitù, stato di incapacità procurato mediante violenza. Sei i complici denunciati.

     

    Sequestri e ferite Erano feroci, spietati, erano ossessivi e ossessionati. Calci e pugni, minacce, sequestri per trascinare il quindicenne in un angolo, obbligarlo a bere da tre a cinque lattine di birra, ubriacarsi e subire. Una volta gli avevano messo una catena al collo e l' avevano trascinato per la frazione. Come un cane.

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    Quel pomeriggio dello stupro, per la vergogna il quindicenne non aveva detto nulla a casa: aveva profonde lacerazioni e aveva provato a medicarsi. Il papà è un camionista, la mamma lavora in una cooperativa di pulizie e la sera fa la cameriera per arrotondare. Non hanno problemi economici ma è filosofia e strategia di queste terre accumulare soldi per fronteggiare eventuali traversie, portarsi avanti.

     

    Adesso la mamma, ai carabinieri della Compagnia di Vigevano comandati dal capitano Rocco Papaleo, ripete d' essere l' unica colpevole: «Mi sono accorta troppo tardi».

     

    Eppure qualcosa le era giunto all' orecchio ma forse pensava fossero esagerazioni; eppure i paesani avevano saputo, impossibile non aver mai notato nulla, e si sono guardati dall' avvisare le forze dell' ordine; eppure venerdì, quando sono scattati gli arresti, i genitori dei balordi - e va da sé, son tutte cosiddette buone famiglie di italiani - si sono perfino permessi di replicare a muso a duro agli investigatori. Con la frase di rito: «Non ci credo, figuratevi se mio figlio fa robe del genere».

     

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    Le armi in camera Certo, figurarsi: il branco si divertiva anche a devastare i treni. Nella camera da letto di uno, in bella vista, c' erano cinque (cinque) martelletti d' emergenza, quelli custoditi sui convogli per rompere i vetri. Erano lì per un' innocente collezione? Le spedizioni contro i treni avevano innescato le indagini, portando i carabinieri nella frazione. Erano stati ascoltati tutti i pochi ragazzini residenti.

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    Qualcuno aveva parlato del branco. E siccome gli investigatori avevano iniziato a «girare» con insistenza, i carnefici si raccomandavano con la vittima invitandola a tacere, sempre che non volesse rimediare ulteriori pestaggi. Il quindicenne aveva continuato ad andare a scuola, in un istituto tecnico, e chissà se si era confidato con gli amici oppure i professori, e se nel comportamento e nello studio aveva dato segnali così «netti» da spingere anche il più disattento dei docenti a porsi una domanda. Le atrocità sono durate tre mesi, da dicembre.

     

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    A un certo punto la mamma ha capito. E ha denunciato. Forse l' avevano insospettita gli strani «tempi» del figlio, che usciva prima il mattino, in largo anticipo, per appostarsi tra gli edifici, e verificare se ci fossero i nemici o potesse camminare in libertà .

     

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