Marta Serafini per il Corriere.it
Abdul Ghani Baradar
Quando due anni fa è stato liberato dalla prigione pachistana dove era rinchiuso, in pochi probabilmente avrebbero potuto immaginare che Abdul Ghani Baradar sarebbe un giorno diventato il candidato più papabile come presidente del nuovo governo ad interim afghano. Eppure, quando domenica era dato in movimento da Doha verso Kabul, la notizia a quel punto non era più così inaspettata. Baradar stava andandosi a prendere il potere.
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La sua vita è forse emblematica della storia afghana degli ultimi 40 anni. Nato nella provincia di Uruzgan nel 1968, ha combattuto contro i sovietici negli anni ‘80. Un vero e proprio mujaheddin insomma. Dopo che i russi furono cacciati nel 1992 e il Paese venne travolto dalla guerra civile, Baradar istituì una madrasa a Kandahar con il suo ex comandante e presunto cognato, Mohammad Omar. Insieme, i due mullah hanno fondato i talebani, un movimento guidato da giovani studiosi islamici dediti alla purificazione religiosa del Paese e alla creazione di un emirato.
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Alimentati dal fervore religioso, dall’odio diffuso per i signori della guerra e dal sostanziale sostegno dei servizi segreti pachistani, Baradar e Omar riescono a prendere il potere nel 1996 dopo una serie di straordinarie conquiste militari che allora proprio come oggi colsero di sorpresa il mondo.
Baradar, il vice del mullah Omar, ritenuto uno stratega di alto livello, fu un artefice chiave di quelle vittorie. Ma non solo. Nei cinque anni di regime talebano arriva a ricoprire una serie di ruoli militari e amministrativi e quando l’Emirato cade, occupa il posto di vice ministro della difesa. In sintesi, dunque, durante i 20 anni di esilio, Baradar mantiene la leadership e la guida del movimento.
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In Pakistan Baradar diventa uno dei leader della Shura di Quetta, il governo in esilio dei talebani, più resistente al controllo dell’Isi e più portato ai contatti politici con Kabul. La presidenza Obama però lo vede di cattivo occhio per la sua esperienza militare e così, dopo che la Cia lo rintraccia a Karachi nel 2010, Washington convince Islamabad ad arrestarlo. E Baradar è fuori dai giochi. Fino al 2018 quando alla Casa Bianca cambia il vento, e l’inviato di Donald Trump, Zalmay Khalilzad, chiede ai pachistani di rilasciare Baradar in modo che possa condurre i negoziati in Qatar. E la Storia fa un altro giro.
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Baradar oggi — mentre gli studenti coranici si siedono sulla poltrona di Ghani — è uno dei vincitori indiscussi di una guerra contro gli Usa e contro il governo dei signori della guerra durato 20 anni. Mentre Haibatullah Akhundzada è il leader generale dei talebani, Baradar è il suo capo politico e il suo volto più pubblico.
Ma anche un uomo prudente che sa aspettare. In una dichiarazione televisiva sulla caduta di Kabul, ha affermato che la vera prova dei talebani è solo all’inizio e che devono servire la nazione. Parole che tradiscono intenti di impegno. Se poi alle parole corrisponderanno i fatti è però tutto da vedere.
zalmay khalizad e mullah abdul ghani baradar
In ogni caso il ritorno al potere di Baradar incarna l’incapacità dell’Afghanistan di sfuggire al passato. In ogni caso Baradar ha firmato l’accordo di Doha con gli Stati Uniti nel febbraio 2020, patto che doveva rappresentare un momento di svolta per l’Afghanistan non un ritorno al passato.
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