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    ABRA-CADABRA! SECONDO L’ARTISTA MARINA ABRAMOVIC IL MONDO PUO’ ESSERE MIGLIORE, BASTANO SEI ORE NEL SUO ASETTICO LABORATORIO A DECONTAMINARSI DAL CELLULARE E A CONTARE CHICCHI DI RISO: OGGI STARE SENZA SMARTPHONE SIGNIFICA AFFRONTARE LA PAURA PIU’ GRANDE


     
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    performance al marina abramovic insitute performance al marina abramovic insitute

    da www.ozy.com

     

    A 23 anni Marina Abramovic invitò il pubblico a fare ciò che voleva sul suo corpo. Sul tavolo mise a disposizione anche un coltello, una pistola e una rosa. All’inizio i visitatori furono timidi, ma presto qualcuno le tagliò i vestiti, le conficcò le spine nella carne, le puntò la pistola alla testa. Dopo sei ore capì che gli esseri umani sono pronti ad infliggere tremende sofferenze.

     

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    Circa 40 anni dopo, Marina mise a punto un esperimento intitolato “The Artist Is Present”, una performance lunga tre mesi al Moma di New York, dove lei era seduta su una sedia per otto ore al giorno, pronta a ricevere sconosciuti, scambiando solo contatto visivo. Oggi ci racconta quanto quell’esperienza le abbia cambiato la vita: «Quando al pubblico dai la possibilità di farti male, il pubblico ti ferirà, ma se gli fornisci strumenti per migliorarsi, si migliorerà». La connessione che ha testimoniato deriva dalla necessità sempre maggiore di entrare in contatto senza i dispositivi elettronici, che in qualche modo di allontanano da noi stessi.

    marina abramovic al moma marina abramovic al moma

     

    contare il riso al mia contare il riso al mia

    Così, l’ultima performance della Abramovic, e forse la più ambiziosa, invita il pubblico in una specie di centro benessere dove il visitatore si purifica per sei ore prima di sperimentare “l’arte immateriale”. Lei non si mette più in pericolo di vita e gli eventi sono sicuri, per quanto imprevedibili. Al “Marina Abramovic Institute” (MAI) i visitatori indossano un camice da laboratorio, fanno esercizi da lei stabiliti, contano il riso, sorseggiano acqua, insomma imparano a recuperare la semplicità nelle loro vite. Come se la paura e la solitudine non nascessero dalla lama di un rasoio e da una pistola, bensì dall’assenza dei nostri telefoni.

     

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    Marina si considera una proprietà pubblica, una sciamana, una sacerdotessa che ora ha anche il suo tempio, dove non mette a rischio i suoi seguaci come fa con se stessa. I metodi non sono così estremi e personali come negli anni Settanta, comunque tentano di elevare lo stato di consapevolezza. Dice lei: «Gli artisti non rispondono alle domande ma forniscono una visione differente. Il mio messaggio è molto semplice: l’unico modo per cambiare il mondo, è cambiare se stessi».

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