achille lauro
Sandra Cesarale per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Il palco del Primo Maggio sarà il mio grande inizio, torno a Roma, casa mia, dove tutto è partito», dice Achille Lauro, appena arrivato dall’America. È la sua terza volta al Concertone che quest’anno trasloca da piazza San Giovanni al Circo Massimo.
«Nel 2018 arrivavo dal mondo urban e mi sono ritrovato nel mainstream. Ho cantato La bella e la bestia , piano e voce, uno dei momenti di punta della mia carriera. Nel 2019 è stato l’anno di Rolls Royce . Pazzesco, io con una superband e un fiume di gente».
C’è anche andato poco più che adolescente per smontare il palco.
«Vero, ho fatto il facchino. Non dimentico che è la Festa dei Lavoratori. Per me è una questione seria perché vengo da un mondo dove la gente si spacca la schiena e deve far valere i propri diritti. Su quel palco non ci vado per farmi vedere, ma per portare un messaggio».
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Ha passato tre mesi fra New York e Los Angeles.
«Pazzesco. Ho preso casa a Beverly Hills. Ho incontrato i produttori di Drake e Kanye West, fotografi, creativi. Mi sono confrontato con un mercato che non mi conosce e sentirmi nessuno mi ha fatto venire voglia di sognare ancora più in grande. Ho scritto tante canzoni, di tutti i tipi».
Negli Usa ha incontrato anche Tiziano Ferro, Vasco Rossi, Jovanotti.
«Ho avuto la fortuna di passare serate con grandi artisti.Sì, abbiamo parlato di canzoni, però a me interessa creare un rapporto. Sono stato a casa di Vasco a Los Angeles, è stato bellissimo, un film. Tra di noi ci sono dei punti di incontro che vanno oltre la musica».
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Quali?
«Siamo imprevedibili, fuori controllo, ce ne freghiamo delle aspettative della gente».
E Jovanotti?
«Come Vasco, è un grande comunicatore. Le sue scelte sono innovative, come il Jova Beach Party. Ha creato intorno a sé una specie di tribù che vive tutto l’evento, non solo le canzoni. È lo sciamano del suo villaggio».
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Come quando è andato a Sanremo con «Rolls Royce».
«Pensavano tutti che fossi un venduto, ora c’è la fila per salire su quel palco. Il nostro ruolo da musicisti e da persone libere è scardinare le sicurezze e cercare l’impossibile».
Sangiovanni ha deciso di fermarsi: «Non riesco più a fingere. Bisogna accettarsi per quello che si è».
«Sono d’accordo. A lui direi: pensa a come hai iniziato, ti hanno notato perché eri te stesso, unico. Sono la dimostrazione che si può fare quello che si vuole e ottenere risultati. La canzone che rimarrà non è sempre legata alle vendite, come i singoli da spiaggia. E ti ricorderanno per un brano che non è il Ballo del qua qua ».
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È la stessa spinta che muove lei?
«Sono musicalmente anarchico, il mercato esiste per essere sovvertito. Ogni volta che esco con un album rischio, come se tentassi di distruggere la mia carriera. E se succedesse, sarei contento. Sono inquieto, è la mia maledizione e la mia benedizione. Non esiste mai una fine, la mia ambizione non conosce traguardo».
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