Alessio Ribaudo per www.corriere.it
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Ha speso gran parte della sua vita per dare voce agli ultimi. Lui, nato ricco, si era spogliato di tutto per aiutare poveri, ex tossici, emarginati di Palermo, ridando loro dignità e speranza. Un cancro al colon, scoperto due anni fa, si è portato via a 59 anni «fratel» Biagio Conte che, neanche negli ultimi mesi, aveva rinunciato ad assistere migliaia di persone in città senza un tetto sulla testa, prostitute, clochard, migranti, ex detenuti nelle sedi della sua «Missione di speranza e Carità». Negli ultimi mesi non solo migliaia di palermitani ma centinaia di persone da tutta la Sicilia hanno reso omaggio a Conte le cui condizioni di salute si aggravavano di giorno in giorno.
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Anche l’Arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, la scorsa Epifania, si è recato al suo capezzale per dare sostegno a uno dei suoi simboli di riscatto del capoluogo siciliano: «Siamo qui perché Biagio è colui che diventa la nostra stella, perché ci conduce all’essenziale e l’essenziale è questa via “altra” che dobbiamo imboccare. Biagio, con la sua scelta di vita, scegliendo i piccoli, ci ricorda l’unica via che dobbiamo imboccare, l’altra via. Ecco perché fratel Biagio, innamorato di San Francesco d’Assisi, si è fatto povero e per i poveri, ribaltando la logica del mondo». Il suo ultimo pensiero, dal letto di agonia, è sempre stato rivolto proprio agli ultimi: «Restiamo uniti per un mondo migliore perché insieme possiamo farcela: non muri ma ponti».
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Chi era
Conte, fisico minuto, occhi azzurri magnetici proveniva da una ricca famiglia di costruttori edili ma — dopo essere stato educato prima in un collegio privato in Svizzera e poi in uno di Palermo — aveva deciso di abbandonare la scuola, a 16 anni, per seguire le orme del padre. Ben presto, però, la vista delle disuguaglianze sociali e dei guasti provocati dalla mafia gli causano una profonda crisi interiore e, a 20 anni, decise di andare a vivere a Firenze. Sette anni dopo matura una scelta drastica: spogliarsi di tutti i suoi averi per abbracciare la vita da eremita nelle montagne dell’entroterra siciliano. Quindi, nel 1991, decide di recarsi in pellegrinaggio, a piedi, fino al convento di Assisi per sposare gli insegnamenti di San Francesco.
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Non informa i familiari che, non avendo più sue notizie da tempo, si rivolsero alla trasmissione «Chi l’ha visto?». Sarà lo stesso Biagio a tranquillizzarli in diretta tv del suo cammino. Nell’estate del 1991 ritornò a Palermo convinto di partire in missione in Africa ma, camminando per le vie di Palermo, rimase colpito del profondo disagio sociale e dello stato di povertà di migliaia di suoi concittadini. Così decise di rimanere in Sicilia, indossare il saio e portare il bastone. Giorno dopo giorno mise «letteralmente» in piedi la Missione Speranza e Carità, con l’obiettivo di dare conforto e un futuro agli emarginati della città. Comincia con il dare sostegno ai senzatetto che gravitavano intorno alla Stazione centrale del capoluogo siciliano.
La missione
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Il progetto, in 30 anni, si è allargato con la costruzione delle tre «Città della gioia»: la «Missione di Speranza e Carità», «La Cittadella del povero e della speranza», «La Casa di Accoglienza femminile». Oggi le diverse sedi accolgono oltre mille persone a cui sono offerti tre pasti al giorno e posso ricevere assistenza medica e, all’occorrenza, vestiti puliti. Chiunque bussa alla porta riceve ascolto da una rete di volontari che hanno accompagnato il percorso di «fratel» Biagio. Un uomo che è stato capace di farsi sentire dalle Istituzioni — anche a costo di prolungati scioperi della fame e proteste eclatanti — per ottenere risorse dedicate alle proprie attività di carità. Questo suo percorso di vita lo ha più volte fatto accostare a San Francesco d’Assisi.
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Il miracolo
Uno spendersi anche fisicamente per «costruire» accoglienza che lo avevano inchiodato per anni su una sedia a rotelle a causa di uno schiacciamento di alcune vertebre che gli provocavano lancinanti dolori alla schiena, abbinati ad altri problemi circolatori. Poi dopo un pellegrinaggio dalla Madonna di Lourdes e il bagno nella vasca, Conte torna ritto in piedi. Una guarigione improvvisa che fu ricostruita dalla newsletter dell’Arcidiocesi di Palermo che parlò di miracolo. «Per me è stata una grazia inaspettata — raccontò Conte in un’intervista — che ho ricevuto dal buon Dio che ha incaricato la sua madre Maria.
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Subito dopo essermi immerso ho avvertito come un fuoco dentro che mi ha permesso di tornare non a camminare, ma a correre verso le tante persone che me lo chiedono». Il fatto prodigioso fu confermato anche da padre Pino Vitrano, il sacerdote che collabora con Biagio Conte nella missione Speranza e carità: «Subito dopo il ritorno dal pellegrinaggio, me lo sono veduto venire incontro a piedi in maniera clamorosa, senza nessuna difficoltà. Anche i medici da noi interpellati non sanno fornire una spiegazione scientifica plausibile».
Gli incontri con i papi
Conte, missionario laico, ha avuto uno stretto rapporto con la Chiesa cattolica. Non solo con l’arcivescovo di Palermo ma persino con gli ultimi due papi. Il 3 ottobre del 2010, durante la sua visita a Palermo, Benedetto XVI incontro il missionario laico nel Palazzo vescovile e quel giorno maturò il nome di Missione di speranza e carità. Nel 2018, invece, Papa Francesco andò oltre e, una volta in città, decise di pranzare nella missione di Conte con altri 160 suoi ospiti: poveri, migranti, ex detenuti, volontari.
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Nella mensa fu realizzata con materiale riciclato una barca da un falegname tunisino sordomuto. La comunità femminile realizzarono delle statuine raffiguranti persone di tutto il mondo. Poi furono collocate sull’imbarcazione per lanciare il messaggio «siamo tutti sulla stessa barca per costruire insieme un mondo migliore». Il menu? Fettine di pane con l’olio, olive condite, formaggio a tocchetti, caponata, poi insalata di riso, petto di pollo panato alla siciliana, insalata mista, sorbetto di limone e cannolicchi.
Le reazioni
«La scomparsa di Biagio Conte lascia un vuoto incolmabile a Palermo — ha commentato il sindaco Roberto Lagalla — e anche nelle ultime ore più drammatiche tutta la città si è stretta attorno a fratel Biagio, a testimonianza del valore dell’eredità umana che oggi ci lascia e che non dobbiamo disperdere. Resterà per me indimenticabile l’ultimo incontro di pochi giorni fa con Biagio Conte, durante il quale mi ha raccomandato di non dimenticare mai i poveri».
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Di fatto, un’eredità lasciata alla città. «È con questo spirito che l’amministrazione e la nostra comunità devono a stare vicini alla Missione speranza e carità — ha concluso il primo cittadino — che continuerà a essere un punto di riferimento per Palermo anche se da oggi dovrà fare a meno del suo fondatore, della sua guida che resterà comunque fonte di ispirazione per tutti noi».
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