• Dagospia

    ADESSO CHE C'E' UNA BATTAGLIA VERA DA COMBATTERE, CHE FINE HANNO FATTO LE FEMMINISTE DE' NOANTRI? - GONFIE DI INDIGNAZIONE PER LE PERFORMER ALLA FESTA DI DILETTA LEOTTA, PER IL DDL ZAN O PER IL METOO, ORA CHE SI TRATTA DI SBATTERSI PER LE DONNE AFGHANE SONO SCOMPARSE TUTTE - CERTO LA CAUSA NON PREVEDE MICROFONI, NE' TELECAMERE, NE' HASHTAG, NULLA PER CUI RACIMOLARE TROPPA VISIBILITA'...


     
    Guarda la fotogallery

    Valeria Braghieri per “il Giornale”

     

    Donne afghane 3 Donne afghane 3

    E nel 2021 è forse il caso di ammettere che le femministe sono finite. Disponibili come sono solo, ormai, per i lavori già fatti, per le battaglie marginali, per i tic dell'Occidente. Forse le femministe sono finite se nel momento in cui la Storia offre loro una causa degna di questo nome, si trasferiscono in guardiola. Gonfie di certezze fino a ieri, quando si trattava di indignarsi per le performer alla festa di Diletta Leotta, per i testi di Sfera Ebbasta, o quando si incendiavano di battaglia per il Ddl Zan. Tutte barricate sul MeToo. Quella sì è una causa glamour: vip, slogan, volti famosi, retroscena succulenti.

     

    Donne afghane 2 Donne afghane 2

    Niente femministe per le donne afghane. Si sono fatte evanescenti come se avessero preso un'enorme boccata di elio. Troppo faticose o troppo scomode le vite diversamente complicate delle donne di Kabul. I Talebani, il burqa, la sharia, le botte e la sottomissione: e poi il peggio. Perché c'è ancora un peggio: anni di emancipazione scorticati in un istante. Tutto daccapo, da rifare. Lo sfregio della democrazia le risputa indietro di anni.

     

    Ma non ci sono parole di solidarietà e di indignazione. Nessun sermone sui diritti e l'uguaglianza violati, che di solito leccano la pelle come bava di lumaca. A Kabul stilano gli elenchi delle donne non sposate per sapere che carne dare in pasto a quale comandante, per capire quale trofeo distribuire a chi. Ma non si tratta di produttori cinematografici, di attrici o di figlie d'arte. Non ci sono hashtag e braccia alzate mentre si ritira una statuetta, nulla per cui riconoscersi e far vedere che si appartiene. A una causa ganza, tra gente ganza.

     

    Donne afghane Donne afghane

    Non ci sono microfoni o telecamere aperti, non c'è nulla di aperto lì, in realtà. A parte la finestra sul baratro, l'unica cosa spalancata su Kabul. Qui sono chiuse le bocche, inspiegabilmente. Le pasionarie, le arrabbiate perenni, le «contro». Tutte sparite. Tutte silenziosamente uguali e omologate nelle loro diversità. Intanto la vernice bianca imbratta le pubblicità di parrucchieri e centri estetici a Kabul. Si chiude. Finita, la strada per «indietro» è di qui. Si torna al «prima».

     

    Ed è solo l'inizio. Certo che è solo l'inizio. E quelle protestano, a rischio di essere massacrate. Perché mostrare un cartello con slogan a Kabul non è come mostrarlo alla consegna degli Oscar. Lì ci sono la polvere, le mitragliette e i rastrellamenti. Hashtag un bel niente. Non ci sono le femministe dove si fa sul serio. Quindi non ci sono più le femministe. Immerse come sono, in silenzio, nello sciroppo vischioso dell'indifferenza.

    Donne con il burqa Donne con il burqa donne afghane in aeroporto donne afghane in aeroporto Donne afghane 4 Donne afghane 4

    Guarda la fotogallery


    ultimi Dagoreport