Katia Ippaso per il Messaggero
carmelo bene
Un uomo umile e antico. L'officiante di un rito intimo, capace di lasciare gli spettatori storditi e disarmati. Una delle menti più accese del Novecento. Un attore che piaceva moltissimo ai bambini. Sono solo alcune immagini che definiscono Carmelo Bene, a 20 anni dalla morte.
Limpide pennellate di una contro-narrazione scolpita nei ricordi di chi l'ha conosciuto e amato. E l'indomito Don Giovanni, il sadico frequentatore del Maurizio Costanzo Show, il nemico giurato del Ministero dello Spettacolo?
CONTROFIGURE «Quelle per lui erano solo controfigure», spiega Piergiorgio Giacché, uno dei suoi più rigorosi studiosi. «Sosteneva che gli erano utili a sopravvivere, ma non gli servivano a vivere. La maggior parte del suo pubblico ricorda Bene come personaggio televisivo e non come artista, ed è un peccato».
Era il 16 marzo del 2002 quando Carmelo Bene, attore, regista, poeta, filosofo d'origine pugliese (nasce a Campi Salentina il 1 settembre del 1937), il rivoluzionario autore di Nostra signora dei Turchi (film del 1968), il creatore di un teatro orfico nemico dello spettacolo e di ogni forma tombale di rappresentazione, si spegneva nella sua casa di via Aventina, a Roma.
CARMELO BENE COVER
TUTTO STABILITO «Era una serata quasi estiva. Ogni respiro era seguito da una pausa. Alle 21.10 se ne andò. Aveva stabilito quello che si doveva fare dopo la sua morte. Non voleva essere visto da nessuno né avere un funerale pubblico né benedizioni. Dal suo letto direttamente al forno crematorio. Disse anche: Dopo, se volete, con le mie ceneri, fateci una torta, ricorda Luisa Viglietti, costumista di scena, la sua ultima compagna di vita, la donna di cui Carmelo Bene disse pubblicamente: «La sua lealtà doc, tutta napoletana, non tollera accostamenti a nessuna persona donnesca di mia vita».
CARMELO BENE
Si spense a 64 anni a causa di un tumore al colon. Ma con la morte ci aveva sempre trafficato, fin da quando era ragazzo. Le sue malattie, ordinarie e straordinarie, aveva l'abitudine di nominarle tutte insieme, come fossero i versi di una filastrocca inventata per scongiurare il malocchio: scarlattina, orecchioni, morbillo, linfatismo, emicranie, infezioni, ernie, metastasi, guasti al cuore. «Quella volta però era diverso. Sapeva di morire. Per questo aveva predisposto tutto», continua Luisa Viglietti, autrice del libro autobiografico Cominciò che era finita (Edizioni dell'Asino), tra le promotrici de Il congedo impossibile, l'omaggio a Bene previsto il 21 marzo (ore 19) al Teatro Argentina di Roma (parteciperanno, tra gli altri, Tommaso Ragno, Filippo Timi, Iaia Forte).
luisa viglietti libro su carmelo bene
Jean Paul Manganaro, autorevole biografo e traduttore francese, ha appena pubblicato Oratorio Carmelo Bene (Il Saggiatore), in cui analizza il teatro, il cinema, le opere letterarie. «Carmelo non ha ricopiato un'epoca, ne ha inventato una tutta sua. È stato il più grande attore universale del secolo scorso e ha usato la lingua italiana come pochi», dichiara. «Ci conoscemmo negli Anni Settanta, in Francia. È stato un amico fedele, gentile e affettuoso».
Per l'officiante Carmelo Bene non esisteva conflitto tra le esperienze dionisiache dei suoi concerti vocali (memorabili quelli su Majakovskij e Leopardi) e le manifestazioni più accese, ludiche, di questo mondo. Compreso il calcio, che seguiva come commentatore per Il Messaggero.
«Una volta invitò tutta la squadra della Roma, quella di Falcao, a vedere un suo spettacolo al Quirino. Era il 1983 e la Roma aveva appena vinto lo scudetto», ricorda Fulvio Baglivi, curatore delle Notti di Fuori orario (Rai3), che dal 18 marzo dedica il ciclo A viva voce a Carmelo Bene, cominciando dal Manfred, passando dalla visione del film di Mario Schifano Umano non umano, per finire con una intera notte dedicata al calcio.
ARCHIVIO CARMELO BENE
UN PRECURSORE «Bene è stato un precursore in tutto. Pensiamo solo al modo con cui girava e montava per la tv i suoi spettacoli. Cinquant' anni prima di Netflix, ci ha mostrato come si può essere potenti anche sui piccoli schermi». Ma esiste una eredità beniana?
Qualcuno ha raccolto la sua testimonianza oppure il suo esempio si è consumato con la sua febbrile e irregolare esistenza? «Tutti quegli artisti che dagli Anni Ottanta in poi hanno lavorato sul versante della vocalità e in autonomia, sono accostabili a Bene. Penso a Danio Manfredini, a Claudio Morganti, ad Ermanna Montanari», riflette Giacchè.
carmelo bene maurizio costanzo show
GRATITUDINE Tra i più giovani, c'è Roberto Latini, con la sua personale declinazione del teatro dell'indicibile. «Pinocchio di Carmelo Bene è stato il primo spettacolo che ho visto nella mia vita. Facevo le elementari e andavo a scuola dalle suore», ricorda l'artista romano. «Ho rivisto lo stesso spettacolo anni dopo. Non dimenticherò mai il modo dolcissimo con cui Bene prendeva gli applausi. Non c'era più l'attore. C'era solo l'essere umano in un gesto di pura gratitudine».
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