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    RUGBY A MISURA D’OMO - "COSÌ HO VINTO LA PARTITA CONTRO GLI STEREOTIPI": AL FOTOGRAFO ITALIANO GIOVANNI CAPRIOTTI IL “WORLD PRESS PHOTO” PER “BOYS WILL BE BOYS”, LA STORIA SULLA PRIMA SQUADRA DI GIOCATORI GAY DI TORONTO


     
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    Francesco Semprini per la Stampa

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    «Lunedì mi sono svegliato alle 5, non avevo dormito un granché bene. Ho aperto Facebook, alla pagina del World Press Photo, ho notato l' immagine dell' ambasciatore ucciso, ho capito che era lo scatto dell' anno. Mi sono detto: "Che faccio, guardo lo sport?". Ho scrollato su e giù mi è saltata all' occhio la parola "unconventional", poi il mio nome. Mi sono detto "Giovanni Capriotti chi?"».

     

    Ha ancora un brivido Giovanni Capriotti, quando racconta della vittoria al World Press Photo 2017, il più prestigioso premio al mondo di fotogiornalismo, nella categoria sport-storie.

     

    Capriotti lavora tra Montreal - dove vive con la moglie Meredith e la figlia Lulu - e Toronto. Ed è l' autore di un lavoro straordinario, «non convenzionale» appunto, ma di grande impatto.

     

    «Boys Will be Boys» è un progetto sulla prima squadra di giocatori gay di Toronto, nata nel 2003. «Questa città è la più multiculturale del mondo per le migliaia di migranti che attrae da ogni angolo del pianeta», racconta. Una palestra contro la discriminazione, per cui soffrono ancora oggi in tutto il mondo omosessuali, lesbiche e transgender, «incrementando sostanziosamente le percentuali di suicidi, malattie mentali e altre problematiche sociali».

     

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    Gli sport di squadra dovrebbero generalmente offrire opportunità di aggregazione e, tuttavia, l' idea di atleti omosessuali ha sempre suscitato resistenze e controversie. «Nel rugby poi, per antonomasia un gioco duro, lo stereotipo tendeva a considerare gli omosessuali più deboli degli eterosessuali e, quindi, inadatti alle dinamiche da "macho" di uno scontro fisico costante. E' stato questo senso di esclusione sociale e inadeguatezza a spingere diversi giocatori di rugby alla creazione della prima scuderia della palla ovale con una connotazione spiccatamente gay».

     

    In maniera totalmente spontanea «Muddy York Rugby Football Club» «ha dato l' incipit e fornito il sostegno al processo di revisione del concetto di mascolinità all' interno della performance sportiva». E questa spinta innovativa ha incuriosito Capriotti, che ha iniziato a seguire la squadra, cogliendone la novità assoluta e la potenziale declinazione artistica. «Ho capito che sarebbe stato un lavoro forte, perché c' era sostanza e contenuto». La scelta del bianco e nero (con le sue Canon 1DX e Sigma 24 mm) è stata obbligata. «Il colore distrae - chiosa -, mentre così si comprende meglio la storia dietro ogni fotografia e il messaggio generale».

     

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    Scelta che ha permesso a Capriotti di coronare un sogno e di portare a compimento un percorso anch' esso «unconventional». Classe 1972, nato a Roma, da subito sviluppa una passione per le immagini e irrefrenabile curiosità. Finita la scuola, si dedica all' altra passione, la scoperta del mondo, fissando i viaggi in immagini di polaroid e «usa e getta». Fa un primo corso di fotografia alla «Bfa» del London Communication College che gli permette acquisire tecnica e ordine. Alla fase «on the road» seguono gli anni da assistente di volo che gli consentono di proseguire nella scoperta del mondo, sempre con lo scatto a portata di mano.

     

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    Progetti da freelance Il salto lo fa trasferendosi in Canada, quando si immerge totalmente nella fotografia, laureandosi al Loyalist College Photojournalism Program (Dean' s List). Da freelance segue e realizza progetti per l' Onu (Unhcr), organizzazioni non governative, pubblicazioni locali e internazionali, sino ad arrivare al «Muddy York Rugby Football Club».

     

    E alle 5 del mattino di lunedì 13, quando il suo scatto viene consacrato e iscritto tra quelli che saranno esposti per la prima mondiale del World Press Photo 2017, al Palazzo dei congressi. Nella sua Roma.

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