1 – LA VENDETTA DI AL PACINO
Francesca Scorcucchi per il “Corriere della Sera”
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In mezzo secolo di carriera Al Pacino ha interpretato italiani, portoricani, cubani, buoni, cattivi, poliziotti e mafiosi. Mai prima d' ora aveva vestito i panni di un ebreo cacciatore di nazisti.
Succede ora, in Hunters , visibile su Amazon Video, serie tv prodotta da Jordan Peele (il regista rivelazione di Scappa-Get Out e Noi (Us ).
Vagamente ispirato a una storia vera, Hunters racconta di una squadra di ebrei impegnata nella caccia di un gruppo di nazisti che negli Stati Uniti sta cercando di creare il Quarto Reich. Siamo negli anni Settanta a New York. Un giovane assiste impotente alla morte della nonna, sopravvissuta ai campi di sterminio.
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Jonah Heidelbaum interpretato da Logan Lerman, scoprirà presto che dietro alla morte violenta della nonna non c' è una rapina finita male ma ben altro. La donna faceva parte di una rete di cacciatori di nazisti capeggiata da Meyer Offerman, interpretato da Al Pacino.
Guardando oltre la trama di un thriller dal sapore quasi fumettistico, con i cacciatori di nazisti che inventano metodi fantasiosi e vendicativi farsi giustizia - come apportare modifiche nelle tubature dei loro carnefici per fare uscire gas, al posto dell' acqua della doccia - la serie offre spunti di riflessione: «L' antisemitismo è un male che esiste da sempre - dice Al Pacino - ma in questi ultimi anni stiamo assistendo a una legittimazione di certi pensieri e di certe azioni che trovo molto pericolosa, non so se una serie tv possa fare qualcosa a riguardo ma parlarne è sempre un bene».
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Il dibattito e le polemiche, infatti, non sono mancati. Pochi giorni dopo il debutto della serie sulla piattaforma di streaming, l' associazione Auschwitz Memorial ha criticato la rappresentazione fittizia di quanto successo nel lager, descrivendo come pericoloso questo racconto troppo creativo della realtà. In particolare non è piaciuta una scena, che descrive una partita a scacchi con gli ebrei usati come pedine umane, uccise nel momento in cui una mossa determina una cattura.
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In un tweet Auschwitz Memorial ha fatto sapere che quei luoghi erano intrisi di sofferenze e dolori ben documentati dai sopravvissuti e che inventare un falso gioco perverso non solo può essere pericoloso ma può diventare anche utile ai negazionisti.
Rischio reale se si pensa che un recente studio ha rivelato che il 60% degli americani ha posizioni antisemite (e anche in Italia, Eurispes fa sapere che un italiano su sei sostiene che la Shoah non sia mai esistita).
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Il creatore della serie, David Weil, la cui nonna è una sopravvissuta all' Olocausto come la parente del protagonista, ha risposto alle critiche spiegando che il racconto ha tratto aspirazione da eventi reali ma non ha mai avuto aspirazioni documentaristiche e che la principale preoccupazione della produzione era quella di raccontare la persecuzione ebrea senza attingere da esperienze personali.
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«Quello che era importante per me - dice l' autore - era rappresentare il sadismo e la violenza perpetrata dai nazisti nei confronti degli ebrei e di altri gruppi di popolazione».
Per Al Pacino si tratta di sterili polemiche: «Quando ho letto il copione del primo episodio ho capito subito che si sarebbe trattato di un progetto significativo e importante.
Amo quando riesco a percepire un racconto personale nelle sceneggiature che ricevo.
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Questa storia lo è e così ho voluto saperne di più e poi farne parte». Del suo personaggio, il ricco Meyer Offerman, dice: «Si tratta di una personalità complessa e misteriosa che si scoprirà man mano che la serie proseguirà con gli episodi».
Offerman ripete spesso un detto ebreo: la migliore forma di vendetta è la felicità, salvo poi correggersi. «Non è vero, la migliore forma di vendetta è la vendetta». Per David Weil il fine ultimo è fare arrivare lo spettatore a porsi delle domande: «Se cacciamo i mostri, se li uccidiamo per vendetta, se placchiamo così la nostra sete, rischiamo di diventare a nostra volta dei mostri?».
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2 – AL PACINO A CACCIA DI NAZISTI NELLA NEW YORK ANNI 70
Gianmaria Tammaro per “la Stampa”
Racconta Al Pacino che gli sono sempre stati offerti ruoli televisivi. «E li ho rifiutati a malincuore, anche quando si trattava di grandi parti. Ho detto di no perché io, semplicemente, non ero quella cosa lì; "non ero da tv". Ma parliamo di trent' anni fa». Con Hunters, la nuova serie di Amazon Prime Video, è andata diversamente. «Mi ha colpito la scrittura, e poi mi hanno colpito le idee. Io vengo dal teatro, e per me la prima cosa è la sceneggiatura».
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Al Pacino si è convinto quando David Weil, il creatore di Hunters, i produttori e i registi gli hanno raccontato la storia: il suo Meyer Offerman è un ricco imprenditore naturalizzato americano, è ebreo, e dopo essersi ritirato dagli affari, decide di mettere insieme una squadra di cacciatori di nazisti. Siamo a New York, negli Anni '70. Alla corte di Meyer, arriva Jonah Heidelbaum (Logan Lerman), il vero protagonista, e tutto, da quel momento, è destinato a cambiare. Perché Jonah vuole vendetta.
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Meyer gli dice che c' è bisogno di giustizia, perché quello che è successo durante la II Guerra mondiale non si ripeta mai più. Comincia così una corsa contro il tempo, tra enigmi, indagini, operazioni speciali. Jonah riesce a mettere insieme i pezzi di un puzzle invisibile, a decifrare codici, a trovare una scia fatta di briciole e di ricordi sbiaditi.
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Nella squadra che Meyer ha radunato, ci sono un attore (Josh Radnor), una suora (Kate Mulvany), due pensionati (Carol Kane e Saul Rubinek), un veterano del Vietnam (Louis Ozawa Changchien) e una ragazza-madre (Tiffany Boone). I nazisti sono ovunque. Infiltrati ad ogni livello. Aiutati a cambiare nome e a cominciare una nuova vita dal governo americano.
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C' è una cospirazione in atto: la minaccia di un nuovo Reich. E gli hunters, i cacciatori, devono fermarla. Per quanto assurdo possa sembrare, però, la cosa più incredibile di Hunters non è la storia. O meglio: non è solo la sua storia. Ci sono anche regia e sceneggiatura, il continuo richiamo al cinema e alla televisione più pulp, con tantissimo sangue, tantissimi stacchi e montaggi serrati, e una ricerca estetica da B-Movie. Hunters è fumettoso, appassionante, pieno di colori. È adrenalinico, è eccessivo, è travolgente.
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La linearità del racconto viene interrotta di continuo: da una cosa che immagina Jonah, per esempio; oppure dall' altra trama: quella che procede parallelamente e che vede protagonisti i nazisti. In dieci episodi, si alternano giusto e sbagliato, torto e ragione. Dove inizia il perdono e dove finisce la pietà tendono a confondersi, e a coincidere. Il regista Jordan Peele (Get out, Us) è tra i produttori esecutivi, e si notano, anche se solo in parte, anche se in modo quasi marginale, il suo tocco e la sua presenza.
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In Hunters si respira una libertà creativa estrema. C' è il dramma, c' è la commedia, c' è una specie di docu-racconto, con ricostruzioni d' epoca e materiali d' archivio; c' è una vena profonda che ricalca il genere dell' heist movie, con colpi di scena misuratissimi e precisi; ci sono citazioni e riferimenti, non solo a Quentin Tarantino, ma a tutto un filone del grande e piccolo schermo che ha avuto fortuna durante gli Anni '70 e 80.
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E poi Hunters è una serie che parla di memoria, dell' importanza e della necessità di ricordare, e che trova in un ragazzo, orfano, il suo eroe. Diviso tra quello che bisogna fare e quello che, invece, vorrebbe essere. Innamorato, deluso, senza neanche più sua nonna che l' ha sempre accudito. Vorrebbe lavorare in un negozio di fumetti, ma è costretto a spacciare per pagare l' affitto.
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In Hunters, Al Pacino è l' ago della bilancia, volto e voce del Virgilio di Jonah: è lui che lo guida e lo sostiene. La sua parlata lenta, la voce sporcata dal forte accento e lo charme con cui riesce a tenere la scena lo mettono al centro di ogni momento. Non c' è palco troppo piccolo per lui. E ogni inquadratura ci ricorda perché sia uno dei più bravi.
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