Francesca Pierantozzi per “il Messaggero”
ABDESLAM SALAH
Salah Abdeslam è stanco. Lo ha sussurrato ieri all'ingresso della corte nella novantesima camera del tribunale correzionale di Bruxelles. E' restato seduto al suo posto, in prima fila, in mezzo a due agenti col mitra spianato e il volto coperto: «Sono stanco». L'unico superstite del commando che fece strage a Parigi la sera del 13 novembre 2015 affronta il primo giudizio: tentato omicidio e detenzione illegale di armi in collegamento con un'azione terrorista per la sparatoria del 15 marzo 2016 della rue de Dries, a Forest, quartiere di Bruxelles. Tre giorni dopo, finiva la sua fuga con l'arresto a Molenbeek.
IL SILENZIO
CARCERE ABDESLAM SALAH
Da allora più niente. Nessuna spiegazione, nessun pentimento. D'altra parte Daniel Thompson, giornalista e scrittore, autore di due libri sulla Jihad, (conosceva anche personalmente due dei terroristi del Bataclan), non ha dubbi: «Non si pentono mai». Salah Abdeslam non ha detto più niente. Niente sul Bataclan, sui morti ai bar e ai ristoranti, niente sui complici, vivi o morti.
salah abdeslam 2
Muto nella cella di massima sicurezza a Fleury Mérogis, vicino a Parigi. Muto nella prigione sempre di massima sicurezza a Vendin-le-Vieil nel nord della Francia, da dove va e torna da Bruxelles per tutta la durata del processo. Muto anche in tribunale, anche se non del tutto. Non ha risposto ieri quando la presidente della corte Marie-France Keutgen gli ha chiesto di declinare le sue generalità. Qualcosa da aggiungere? «Testimonio che non esiste altro dio all'infuori di Allah e Mohamed è il suo profeta. In lui confido. Non mi fate paura, né voi né i vostri amici. Confido in Allah».
Non intende rispondere alle domande di questo Tribunale? «Non intendo rispondere». Ma allora perché ha accettato di comparire? «Mi hanno chiesto di venire, sono venuto. C'è un processo, sono io l'attore di questo processo. Mantengo il silenzio, ma il mio silenzio non fa di me un criminale o un colpevole. Vorrei che si considerassero le prove scientifiche... E invece vedo che i musulmani sono trattati nel peggiore dei modi. Non esiste presunzione d'innocenza».
la macchina che trasporta salah abdeslam con agenti con volto coperto
Basta. Capelli lunghi, barba, un po' smagrito ma non abbattuto. Accanto a Abdeslam, il tunisino Sofien Ayari, che era con lui a Forest e con lui è stato poi arrestato a Molenbeek, è un po' più loquace. Giura che non sono stati loro a sparare sui poliziotti ma il terzo uomo, Mohamed Belkaid, ucciso al momento del blitz della polizia, quando loro due riuscirono invece a fuggire dalla finestra.
Ayari ha confermato di aver passato con Abdeslam «diverse settimane» nel covo di Forest, ma assicura di non essere in alcun modo legato agli attentati, né a quelli di Parigi, né a quelli di Bruxelles del 22 marzo 2016. L'unica cosa che voleva, ha ripetuto ieri in tribunale, era «tornare in Siria» dove aveva già passato un anno. Cosa pensa degli attentati commessi in Francia e in Belgio? gli ha chiesto la giudice: «Non sta a me giudicare, gli autori avranno avuto le loro ragioni».
La procuratrice ha chiesto il massimo della pena per entrambi: vent'anni di reclusione, di cui tredici in massimo isolamento. L'udienza riprenderà giovedì, con la parola all'avvocato della difesa, il controverso belga Sven Mary.
ARRESTO DI ABDESLAM SALAH
Aveva accettato la difesa di Salah subito dopo il suo arresto («ha informazioni che valgono oro», aveva detto), e aveva poi rinunciato («ha il cervello di un posacenere»). Ha poi deciso di nuovo di assisterlo a Bruxelles, dove la sentenza è attesa per venerdì. In Francia nessuna data è ancora stata fissata per il processo per gli attentati del 13 novembre. Davanti ai giudici francesi, Abdeslam finora non ha mai pronunciato una parola.