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    IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – ALBERTO GRIMALDI ERA UN GIGANTE DEL NOSTRO CINEMA. OLTRE A PRODURRE “DECAMERON” DI PASOLINI E “ULTIMO TANGO A PARIGI” DI BERTOLUCCI, CHE ERANO OLTRE CHE POPOLARI PROPRIO DEI GRANDI E DIFFICILI FILM INNOVATIVI, OLTRE A PRODURRE COLOSSI COME IL “SATYRICON” E IL “CASANOVA” DI FELLINI, “NOVECENTO” DI BERTOLUCCI, FU IL PRIMO A CREDERE NEL WESTERN ALL’ITALIANA E A REALIZZARE IL GRANDE SOGNO DI SERGIO LEONE MA ANCHE DI... – VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    ALBERTO GRIMALDI ALBERTO GRIMALDI

    “Fare un film con l’avvocato Grimaldi”, sosteneva Bernardo Bertolucci che fece con lui “Ultimo tango a Parigi” e “Novecento”, “significava godere di un rapporto privilegiato con il mercato americano, prepararsi all’incontro con un grande pubblico internazionale, e al tempo stesso avere un rapporto col produttore di Il buono, il brutto, il cattivo, Il Decameron e Fellini-Satyricon. Mi piaceva molto la sua timidezza sul set, bilanciata dalla sua sicurezza nel suo ufficio  o al Polo Lounge del Beverly Hills Hotel”.

     

    clint eastwood per un pugno di dollari clint eastwood per un pugno di dollari

    Alberto Grimaldi, scomparso ieri a 95 anni a Miami, era un gigante del nostro cinema. Forse non aveva la grinta dei grandi produttori degli anni ’50 usciti dalla Lux di Gualino, cioè Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, ma oltre a produrre i più grandi successi economici di tutta la nostra industria, “Decameron” di Pasolini e “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci, che erano oltre che popolari proprio dei grandi e difficili film innovativi, oltre a produrre colossi come il “Satyricon” e il “Casanova” di Fellini, “Novecento” di Bertolucci, “Queimada” di Pontecorvo, “Gangs of New York” di Scorsese, fu il primo a credere nel western all’italiana e a realizzare il grande sogno di Sergio Leone, ma anche di Sergio Sollima e Sergio Corbucci producendo alcuni dei più grandi film del genere, “Per qualche dollaro in più”, “Il buono, il brutto, il cattivo”, “La resa dei conti”, “Faccia a faccia”, “Il mercenario”.

     

    alberto grimaldi alberto grimaldi

     

    Seppe come far uscire Leone dal complicato inghippo che lo legava a “Per un pugno di dollari”, prodotto da Papi e Colombo della Jolly Film, ma sotto schiaffo della Toho perché remake non dichiarato di “La guardia del corpo” di Akira Kurosawa. Grimaldi si prese Leone, i suoi due prossimi film, e, coi soldi della United Artists, che aveva i diritti sui film di Leone in tutto il mondo, seppe come imporlo sul mercato internazionale.

     

    Come seppe come liberare Federico Fellini dal disastro de “Il viaggio di G Mastorna”, il film che non voleva più fare, per paura di morire, dopo averne parlato con Gustavo Rol, con le scenografie già pronte negli studi di De Laurentiis.

     

    novecento di bernardo bertolucci novecento di bernardo bertolucci

    Da buon avvocato napoletano si ricomprò il progetto da De Laurentiis, che non fece, ma spostò Fellini su due due film, l’episodio meraviglioso di “Toby Dammit” in “Tre passi nel delirio” e il “Fellini-Satyricon” che fu il primo vero film pensato per il mercato internazionale di Fellini. Girato in inglese.

     

    marlon brando queimada marlon brando queimada

    Allo stesso modo trasformò il grande progetto di western politico che avrebbe dovuto fare Gillo Pontecorvo con la sceneggiatura di Franco Solinas in due film, uno “Il mercenario”, che diventerà il primo tortilla western di Sergio Corbucci, e l’altro, “Queimada”, che diventerà l’unico film epico e internazionale di Pontecorvo con Marlon Brando.

     

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    E quando Brando ruppe con Pontecorvo, andandosene dal set per mai più ritornare, lo portò sul piccolo film batailliano che stava per girare Bernardo Bertolucci, trasformandolo in un successo mondiale, “Ultimo tango a Parigi” con Brando al posto di Jean-Louis Trintignant.

     

    Una scelta che portò alla rottura di Bertolucci con gran parte della Nouvelle Vague, ma impose Bertolucci sul mercato internazionale, al punto che riuscirà a fare “Novecento”, e fece rinascere il mito di Brando. Un film che incassò anche più di “Lo chiamavano Trinità” di E. B. Clucher alias Enzo Barboni, grande successo del tempo, anche se Barboni glielo disse a Grimaldi “E poi con quegli elementi che c’hai messo, Brando, il culo di quella, l’insederata, e tutte ’ste cose, per forza dovevi vincere”.

    lo chiamavano trinita lo chiamavano trinita

     

    Nato a Napoli nel 1925, Grimaldi fu prima avvocato delle agenzie di distribuzione cinematografica a Napoli, poi avvocato italiano della Fox e della Columbia a Roma. Vedendo il successo dei primissimi western europei girati in Spagna, come “Il segno di Zorro” di Joaquim Romero Marchent, decide di buttarsi nella produzione oltre che nella distribuzione.

     

     

     

    alberto grimaldi l'arte di produrre alberto grimaldi l'arte di produrre

    Marchent ricordava che Grimaldi allora era poco più di un modesto avvocato, “non faceva altro che doppiare i film in italiano e in inglese e rivenderli all’estero”. Ma era rimasto molto impressionato da “Il segno di Zorro” al punto che decise che sarebbe entrato in produzione col sequel, che diventa appunto il primo film prodotto dalla PEA.

     

    Assieme alla moglie Maria Rosa Bongiorno, fonda così nel 1961 la PEA. Produzione Europee Associate, a Roma, intuendo che la strada più giusta per il cinema europeo era appunto quello della coproduzione, che allora sfruttava una serie di meccanismi e di facilitazioni per cui conveniva muoversi a metà fra Spagna, Italia, Germania e Francia.

     

     

     

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    “Commissionai un’indagine di mercato alla Demoscopea e scoprii che il western era di gradimento per l’80 per cento del pubblico,” aveva dichiarato in “Capitani coraggiosi – Produttori italiani 1947-1975”. “In quel periodo”, prosegue Grimaldi, “gli americani producevano al massimo una-due pellicole western l’anno, così pensai, in considerazione della legge della domanda e dell’offerta: Se io faccio un film commercialmente discreto, dovrà essere un successo. Così iniziai a coprodurre con la Spagna”.

     

    Entra quindi in società con Manzanos e la Copercines e assieme producono sia il nuovo Zorro di Marchent, appunto L’ombra di Zorro, sia Il segno del Coyote (El vengador de California, 1962), terzo film della serie ideata da Mallorqui, ma con la regia di Mario Caiano. Proprio per L’ombra di Zorro, che incasserà da noi ben 336 milioni, arrivano dall’Italia, spinti dal braccio destro di Grimaldi, Salvatore Alabiso, i nostri primi attori, come Robert Hundar alias il siciliano Claudio Undari, e il calabrese Raf Baldassarre, pronti a stabilizzarsi in Spagna come elementi fissi del genere nonché pilastri dei primi anni d’oro della PEA.

     

    robert hundar robert hundar

    Il passo successivo è  I tre implacabili (Tres hombres buenos, 1962), sempre diretto da Marchent, che è il primo vero western italo-spagnolo, prodotto dalla PEA e dalla Copercines. I tre protagonisti sono Geoffrey Horne, fresco di Bonjour Tristesse, lo svizzero Paul Piaget e il nostro Robert Hundar. Anche se è difficile stabilire quale sia il primo vero western italo-spagnolo, certo questo ha tutte le caratteristiche.

     

    alberto grimaldi alberto grimaldi

    Fece anche un ottimo incasso, ben 562 milioni, superando di gran lunga i vari Zorro del tempo. Grimaldi, ma anche Carlo Caiano e Papi e Colombo, oltre a Emo Bistolfi, saranno i primi a puntare decisamente sul genere. Nel 1963 la PEA produrrà altri due western diretti da Marchent, che si era staccato dalla Copercines e si era associato alla Centauro Film, una società spagnola che gestiva i cavalli del cinema. 

     

    I tre spietati (El sabor de la venganza) e I sette del Texas (Antes llega la muerte) di Marchent sono veri e propri capolavori del genere, assolutamente originali, e mostrano che il regista stava percorrendo una sua personale strada prima che l’arrivo di Sergio Leone sconvolgesse per sempre il western europeo.

     

    i tre spietati i tre spietati

    Sono anche i primi film che si girano in Almeria dopo il western anglo-spagnolo di Michael Carreras, I fuorilegge della Valle Solitaria. “La Centauro di solito partecipava per il 25-30 per cento del budget mantenendo i diritti di distribuzione sul suo territorio. La PEA aveva l’Italia e le vendite all’estero per una quota del 70 per cento”, ha detto Grimaldi.

     

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    E’ grazie agli incassi strepitosi di questi piccoli western coprodotti con gli spagnoli, che Grimaldi riesce a assicurarsi Sergio Leone e il suo secondo film, “Per qualche dollaro in più”, che farà uscire in tempi immediati. E’ il primo a chiamare Leone appena vede “Per un pugno di dollari” e a proporgli subito un contratto. Sosteneva anche che non fece il primo film di Leone perché il suo braccio destro, Salvatore Alabiso, che avrebbe dovuto chiedergli di farlo con loro, aveva dei problemi personali col regista.

     

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    “La PEA”, diceva Grimaldi a proposito di “Per qualche dollaro in più”, “partecipava per il 60 per cento del budget. Per quell’occasione la United Artists mi diede un anticipo sulla distribuzione.”

     

    La United Artists, società che deve distribuire il film in tutto il mondo, già in data 5 marzo 1966, secondo “Il Giornale dello Spettacolo”, ha portato 900.000 dollari veri al film. La fame, insomma, è finita, almeno per Leone.

     

    Con Alberto Grimaldi, il regista chiude un contratto al 50 per cento sugli incassi, per non avere i problemi che ha avuto con Papi e Colombo, più 50 milioni come regista. Riesce anche a scongiurare che Clint Eastwood si allei con Papi e Colombo e faccia il suo secondo western con loro. Lo va a trovare a Los Angeles e lo convince a fare il suo film.

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    Che sarà poi seguito da “Il buono, il brutto, il cattivo”. Così facendo, però, lascerà per strada i suoi primi compagni di viaggi, come Joaquim Romero Marchent, per puntare su nomi più forti, come Sergio Sollima, che gli ha presentato proprio Leone, e che dirigerà due grandi successi per la PEA come “La resa dei conti” e “Faccia a faccia”.

     

    Che funzionarono anche da prototipo produttivo per Grimaldi e andarono benissimo non solo in Italia. “Il contratto”, spiegava Grimaldi, “funzionava sempre allo stesso modo: la major copriva l’80 per cento del preventivo di costo iniziale e io trovavo i finanziamenti per l’altro 20 per cento, mettendo i soldi di tasca mia o chiedendo prestiti alla Banca d’America e d’Italia. Distribuivo il film sul territorio nazionale, mantenendo una percentuale di sfruttamento nel resto del mondo per il 50 per cento.

     

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    Ho prodotto ventidue film con questa formula, da “La resa dei conti” di Sergio Sollima in poi. Per il principio di cross collateralization gli incassi mondiali venivano unificati a gruppi di due-tre film cosicché nel caso una pellicola andasse male al botteghino l’altra ricopriva il danno economico.” Con gli incassi dei suoi western maggiori, punterà così a assicurarsi le opere maggiori di Fellini

     

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    e Pontecorvo. O a puntare su opere più intellettuali, come “Un tranquillo posto di campagna” di Elio Petri, ad esempio. Se Marchent se ne andrà via indignato dal tradimento di Leone, più che comprensibile, e molto ci resteranno male le sue prime fedelissime star, come il cowboy siciliano Robert Hundar, Grimaldi punterà sui piccoli western aiutando il suo braccio destro, Salvatore Alabiso, che sta per mettersi in proprio con la sua Tritone Filmindustria, a produrre in Spagna per la PEA due western girati da Umberto Lenzi, Tutto per tutto e Una pistola per cento croci, che non funzionarono bene.

     

    alberto grimaldi l'arte di produrre alberto grimaldi l'arte di produrre

    Il maggior western della PEA del tempo è il divertente Ehi amico... c’è Sabata, hai chiuso! (1969) con Lee Van Cleef protagonista girato da Gianfranco Parolini dopo il successo del suo primo Sartana. Che ci sia una specie di involuzione nel genere è ormai chiaro. Il western paroliano è evidentemente una specie di parodia di quello di Leone e di Sollima, anche se ha sua linea personale.

     

    Ma Parolini e Grimaldi sono pronti prima a un rapido sequel di Sabata e a un molto simile Indio Black sai che ti dico: sei un gran figlio di... (1970) che vede protagonista addirittura Yul Brynner, cioè il protagonista di I magnifici sette. Tutto questo, ovviamente, a Leone non piaceva per niente. Quando Leone per “C’era una volta il West”, lascia Grimaldi pensando di farlo con Carlo Ponti, il produttore è già passato a Fellini in fuga da De Laurentiis. Va detto che Grimaldi in quegli anni non sbagliò un colpo.

     

    trastevere di fausto tozzi 8 trastevere di fausto tozzi 8

    E gli incassi incredibili di “Ultimo tango a Parigi” e di “Decameron” gli dettero uno status che pochissimi altri potevano vantare. Non funzionò molto, invece, il film che fece con Barboni e col solo Terence Hill, “E poi lo chiamarono il magnifico”, che era pensato proprio per un grande incasso, ma senza Bud non c’era la coppia.

     

    Ma oltre ai grandi successi, produsse anche film difficili, come “Salò” di Pasolini, “Non toccate la donna bianca” di Marco Ferreri, stravaganza western con Marcello Mastroianni Custer e Michel Piccoli Buffalo Bill, produsse “Trastevere” di Fausto Tozzi, “Cadaveri eccellenti” di Francesco Rosi e il kolossal di Bertolucci “Novecento”, che venne massacrato in America.

     

    day lewis in gangs of new york day lewis in gangs of new york

    “Grimaldi era capace di materializzare sogni produttivi molto ambiziosi e apparentemente impossibili”, diceva Bertolucci, “Gli è riuscito, cosa che non era mai successa prima e non è più successa dopo, di legare insieme, per Novecento, la Fox, la United Artists e la Paramount.” Il che non impedirà la rottura più completa fra i due quando il film verrà rimontato non dal regista per la versione americana.

     

    E allora parlarono solo tramite avvocati. Ma Grimaldi avrà tempo per produrre ancora film, come “Viaggio con Anita” e “Temporale Rosy” di Mario Monicelli o “Ginger e Fred” di Fellini o “Gangs di New York” di Scorsese, che segna davvero la fine di un percorso nato tanti anni prima.

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