Gabriele De Stefani per “la Stampa”
BUSTA PAGA
L'ultima azienda a decidere di dare una mano ai dipendenti è stata la Brembo: mille euro per tutti, dai contratti di somministrazione ai tempi indeterminati, per reggere l'urto dell'inflazione che si mangia gli stipendi. Il trend è largo, al bonus da 200 euro per i redditi sotto i 35 mila euro dal governo Draghi si sommano i contributi delle imprese. Anche se fatalmente fare la differenza con un'una tantum è un miraggio nei mesi in cui i prezzi corrono come non accadeva da più di trent' anni.
In alcuni casi si tratta di gruppi che respirano grazie alla ripartenza post pandemia e irrobustiscono i premi di produzione: Marcegaglia raddoppia e ad aprile ha messo in paga 2600 euro per tutti, Stellantis più di mille, Sedico seicento. In altri è ancora più esplicito il riferimento al caro-prezzi che picchia duro soprattutto sui ceti medio bassi.
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Succede ad esempio alla Labomar, gruppo veneto della nutraceutica che riconosce 700 euro come contributo di solidarietà ai dipendenti che sono in azienda da almeno sei mesi, o alla Tesmec, che spinge fino a 750 euro il bonus carburante da 200 acceso dal governo, con un meccanismo che aumenta la cifra a seconda di quanti chilometri ci siano tra l'abitazione del lavoratore e la fabbrica.
E anche in realtà molto piccole, come la Metallurgica Legnanese di Rescaldina, nel Milanese, che ha messo in busta 1.500 euro in più ai suoi 42 dipendenti. Motivazione: aiutare a pagare le bollette di gas e luce.
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«Molte aziende stanno capendo la drammaticità della situazione - commenta Roberto Benaglia, segretario nazionale della Fim Cisl - e noi crediamo che il governo dovrebbe incentivarle, specie in un momento in cui è così difficile trovare le risorse per gli interventi strutturali che tutti vorremmo vedere. Con poche decine di milioni di euro, ad esempio, si potrebbe alzare da 258 a 800-1000 euro la soglia dei cosiddetti flexible benefit in azienda, quelli con cui i dipendenti possono fare la spesa o il pieno di carburante. Bisogna percorrere tutte le strade possibili per difendere il potere d'acquisto dei salari senza strozzare le aziende».
Non solo le grandi: «La tendenza c'è e interessa sempre di più anche le piccole e medie imprese - spiega Aldo Bottini, giuslavorista socio di Toffoletto De Luca Tamajo - che però sono quelle che hanno particolarmente bisogno di non farsi carico di nuovi costi.
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Anche qui incide il cuneo fiscale: chi vuole far avere soldi in più ai dipendenti, sceglie il welfare aziendale per evitare aggravi fiscali e contributivi».
Tutto bene? No, la Cgil ad esempio è molto più prudente perché, come spiega la segretaria Francesca Re David, «va bene qualunque aiuto, ma servono interventi strutturali e i rinnovi contrattuali, non vorremmo che questi bonus fossero un modo per non affrontare i temi più importanti». Non solo: «Tutte queste una tantum arrivano a macchia di leopardo, per iniziative estemporanee delle imprese e di solito senza confrontarsi con il sindacato - aggiunge l'ex leader Fiom ora nella segreteria di Maurizio Landini - e il rischio di aggirare la contrattazione è forte e vigileremo perché non accada. In Germania i chimici hanno avuto un contributo da 1.400 euro contro l'inflazione, ma si è passati attraverso un accordo sindacale nazionale».
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Per l'economista Marco Fortis il momento degli aiutini, per una volta, va accettato senza storcere troppo il naso: «Le dinamiche della guerra in Ucraina e dei costi dell'energia sono troppo imprevedibili in questa fase, è inevitabile navigare a vista. E dunque ben venga uno sforzo collettivo per provare a parare il colpo in attesa di tempi migliori. Che ci saranno eccome, perché il nostro sistema industriale è sano ed è ben lontano dalla situazione di una quindicina di anni fa. La crisi arriva da fuori».