Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
Tony Soprano
Esiste un canone televisivo, ovvero la possibilità di stabilire «giudizi di valore durevole» sul modello di quelli che i critici letterari usano ormai da molti secoli per classificare le opere della letteratura?
Tutti i canoni sono essenzialmente degli esercizi di mappatura, che delimitano un campo e indicano quali sono i luoghi meritevoli di attenzione. Nella storia della serialità, «The Sopranos» è un punto di riferimento fondamentale. Un mafioso della terza generazione, Tony Soprano (interpretato da James Gandolfini) va in analisi perché stressato: è svenuto per un attacco di panico.
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Alla dottoressa che lo interroga e cerca di sciogliere il suo garbuglio interiore confida: «Non lo so... È bello lanciarsi nelle cose quando accadono agli inizi e io sono arrivato un po' troppo tardi, questo è chiaro. Ma da un po' di tempo, ho la sensazione di arrivare sempre quando tutto sta finendo e il meglio è già passato.
Se ripenso a mio padre, lui non è mai arrivato in alto come me ma in un certo senso gli è andata meglio di me. Aveva gente su cui contare, gente di sani principi, gente con le palle. Oggigiorno che c'è rimasto?».
Anche la mafia non è più quella di una volta, gli antichi modelli cui si ispira la mettono in crisi; basta un'anatra per squassare una psiche e indurla al Prozac. Iniziava così, più di vent' anni fa (10 gennaio 1999), una delle opere che ha segnato l'immaginario seriale del nuovo millennio.
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Una rivoluzione anche dal punto di vista produttivo, visto che «The Sopranos» è stato il primo programma prodotto da un'emittente via cavo, la Hbo, a riportare uno strepitoso trionfo di audience e di critica («It' s not TV, it' s Hbo»).
Maliziosamente, il sito della Bbc, nel celebrare l'anniversario, e nel ricordare anche il successo europeo, sottolinea le perplessità dell'accoglienza italiana, visto che si narrava di un gangster italo-americano nevrotico.
tony soprano
In realtà, l'epopea di Tony Soprano è il più grande affresco su una delle più funeste malattie della modernità, la depressione. E l'idea di prendere un boss mafioso, l'ultimo erede delle famiglie che spadroneggiano nel New Jersey, e farne un caso clinico, un fragile depresso che ogni settimana deve incontrare una psicoterapeuta, è assolutamente geniale. Perché proprio la distanza tra l'esercizio fisico della violenza organizzata e la cupa instabilità della depressione permette di guardare dritto negli occhi il male e descriverlo nella sua conturbante normalità.
Tony si trova con una figlia che ha studiato alla Columbia, si è laureata in legge, e, come sottolinea sprezzantemente il padre, farà «l'avvocato dei neri»; si trova con un figlio, irresoluto e «ipersensibile», che vorrebbe firmare per l'esercito, finire in Afghanistan e poi, eventualmente, arruolarsi nella Cia. Una certa comicità sinistra si sprigiona dalla cupezza: ormai Tony pulisce tristemente la sua piscina per scaricare la tensione, o forse soltanto per risparmiare sul giardiniere.
jennifer melfi, la psicologa di tony soprano
Intanto l'impero si sta sfaldando, i padri storici rincoglioniscono in qualche casa di risposo, la polizia ha in mano elementi per incastrare la «famiglia», altre bande si fanno avanti: c'è un'allegria che vibra colpi mortali. Non lo Stato ma la depressione annienta la mafia: e «The Sopranos» è la messinscena di questa agonia.
i soprano
Tony porta, con la noncuranza con cui indossa orribili magliette, la sua (e la nostra) immoralità, scosso da una febbre di prostrazione. È complesso il mondo di Tony: una moglie cornificata, vampate di rimorsi, amici traditori, figliocci con scarse capacità malavitose, madri possessive, soldi sporchi, omicidi e furti, regolamenti di conti, doppie e triple morali, sensi di colpa, riavvicinamenti e rotture. Gandolfini è stato bravissimo a caricarsi sulle spalle questo universo in decomposizione e restituircelo con ironia e consapevolezza.
david chase e james gandolfini
Il fenomeno «The Sopranos» è stato un evento mediatico che ha marcato per quasi un decennio la storia della tv mondiale. Amato, anche criticato, ha fatto discutere per il suo impatto sociale, soprattutto per le soluzioni narrative del suo creatore David Chase, capaci di plasmare un'opera di meta-mafia, se così si può dire: una serie su alcuni mafiosi che si interrogano sul loro vivere da mafiosi.
james gandolfini
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