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    IMPICCHERANNO CATTELAN CON UNA CORDA D’ORO – ALESSANDRA MAMMÌ: "NON SO SE SIA PIÙ IRRITANTE MAURIZIO CATTELAN O LE CRONACHE E LE RECENSIONI CHE INNEGGIANO ALL’ENNESIMA OPERA CHOC DELL’ARTISTA” – “QUESTA CARTOLINA DELLA MORTE BORGHESE NEL PANDEMONIO IN CUI VIVIAMO E CHE CI RAGGIUNGE TUTTI I GIORNI INCARNANDOSI IN IMMAGINI SU IMMAGINI, NON È BRUTTA: È TOTALMENTE INUTILE. DOPO L’ADDIO ALLE SCENE È STATO UNA STINTA CARTA CARBONE DELLE PUNTATE PRECEDENTI"


     
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    Alessandra Mammì per www.artribune.com

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    Non se sia più irritante Maurizio Cattelan che copia se stesso e imita (malamente) il traumatico pittore suicida di Gino De Dominicis, che esibiva un pennello al posto del sesso in erezione… o le cronache e le recensioni che inneggiano all’ennesima opera choc dell’artista. Perché ci dovrebbero spiegare come abbia fatto a provocare tanti sussulti il suo sosia pupazzo, in completo blu con mazzo di fiori in mano impiccato nello chicchissimo bagno in marmo verde della galleria De Carlo in quel di Milano. Gabinetto storico a firma dell’architetto Piero Portaluppi, filologicamente restaurato, come tutto l’appartamento, senza limiti di mezzi.

     

    MAURIZIO CATTELAN E LA MORTE

    Che il macabro e la morte siano una cifra di Cattelan è cosa nota e che questa sua tavolozza non abbia risparmiato neanche scoiattoli e bambini lo sapevamo. Fu coraggioso anni fa nel riproporla a luci fredde in un mondo che aveva culturalmente allontanato la morte relegandola nella fiction. Allora sì che parlare di choc aveva senso: la preghiera del piccolo Hitler, il cielo che si vendica del Papa, i bambini impiccati al centro della metropoli più ottimista d’Italia. 

     

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    Allora appunto. Poi lui stesso ha intuito che qualcosa cambiava, che il mondo diventava sempre più inquieto, l’arte sempre più vanesia e che quel percorso fatto di immagini fulminee e di calembour visivi forse si era esaurito. Ha annunciato l’addio alle scene con l’ultimo suo beau geste. Quel che si è visto dopo è stato una stinta carta carbone delle puntate precedenti: un cesso tutto d’oro, una banana incoronata opera milionaria, un continuo giocare con la favola di Re Mida, l’artista che trasforma in soldi quel che tocca. 

     

    E si poteva sbuffare, discutere se ancora l’artista ormai maniera di se stesso resisteva ai tempi, se il gioco valeva la candela, ma in fondo nella giostra dell’arte anche il cesso prezioso e la banana resa eterna, ci potevano stare.

     

    L’INSTALLAZIONE CHOC E L’APOCALISSE

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    Fino al 2020 però. Poi quando la morte è arrivata davvero, non c’è più stato spazio per far gli spiritosi. Il fantasma di un’Apocalisse ha colto all’improvviso il nostro asettico mondo di pasciuti europei convinti fino a un paio di anni fa di essere al riparo dai virus grazie alla scienza e dalle guerre grazie alla Nato. Per questo da un artista ci si aspetta qualche pensiero sull’argomento.

     

    E dal cronista qualche dubbio in merito. Sconcerta invece leggere che “l’installazione choc scuote Milano” (tutta?) o registrare il commento di un noto critico come Nicolas Ballario che qui si simboleggia “una resa gentile di chi non se la sente di toccare terra a piedi nudi. La soluzione è drastica, definitiva. È il paradosso di una violenza delicata”. Ma cosa ha visto davvero di tanto drastico e di definitivo? 

     

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    Questa cartolina della morte borghese nel pandemonio in cui viviamo e che ci raggiunge tutti i giorni incarnandosi in immagini su immagini, non è brutta: è totalmente inutile. E appare persino patetico il tentativo di coinvolgere il visitatore grazie al titolo “You”, un “ricordati che devi morire” meglio se in un lustro bagno modernista. Questa “resa gentile” questa “violenza delicata” non parla al mondo. 

     

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    Non parla del mondo. Non parla neanche all’arte che non può credere di passare indenne da questo momento storico riproponendo finti choc ad uso e consumo delle art week, dei Campari sbagliati e dei panini giusti milanesi. Perché la guerra è guerra e quando Marina Abramovic vinse il Leone d’Oro per l’immenso “Balkan Baroque” se lo meritò tutto non solo perché guardò in faccia la tragedia dei Balcani, ma perché in quel lavoro c’erano anche gli orrori di Francisco Goya, la disperazione di Guernica, le trincee di Otto Dix. Ecco cos’è uno choc.

     

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    -Alessandra Mammì

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