Furio Zara per Avvenire
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Il carisma magnetico, la naturale inclinazione al comando. La forza del sorriso. La carezza, mai il pugno. Le parole sussurrate, mai le urla. L' aura da condottiero, di quelli che sanno anche ridere di se stessi. Il furore gentile dell' uomo che sa che il calcio è tutto, ma non è ancora abbastanza.
La nuova idea di calcio che porta in dote, un calcio coraggioso, dispensatore di bellezza e di condivisione. You' ll never walk alone. Non camminerai mai solo, come da eterno motto del Liverpool, la squadra che allena dall' ottobre 2015 - quando subentrò al posto di Rafa Benitez - e che ha portato a trionfare prima in Champions League e poi in Premier, a trent' anni dall' ultima vittoria.
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Nel panorama calcistico attuale la figura di Jürgen Klopp si staglia con nitidezza, perché diversa da tutte le altre e capace - come capita di rado - di essere trasversale, ovvero di riuscire a raccogliere la stima di tutti, al di là della fede di appartenenza.
Chi sia - davvero - questo vecchio ragazzo col ciuffo spettinato e perennemente in tuta - ce lo dice Scatenate l' inferno (Rizzoli, 352 pagine, 18 euro), il libro scritto dal giornalista tedesco Raphael Honigstein. Pagina dopo pagina entriamo nella psiche di un allenatore che ha scelto per sé il soprannome di "Normal One" - ma per gli amici è "Kloppo" e sondiamo un territorio ricco di aneddoti preziosi e testimonianze, che da diverse prospettive illuminano il carattere del "Jovanotti delle panchine", un generatore di energia positiva, un Don Chisciotte che prova a proporre il calcio come un' opera d' arte a tutto tondo, convinto com' è che la cosa migliore che possa fare l' uomo nel suo percorso terreno sia quella di lasciare una traccia, consegnare un ricordo, indicare un orizzonte a cui altri tenderanno.
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Ecco allora il Klopp calciatore mediocre e allampanato, difensore lento nelle movenze ma svelto nell' apprendere: «Ero un talento da quinta divisione con una testa da Bundesliga. Il risultato? Sono arrivato in seconda divisione». Ecco l' allenatore che comincia a fare i primi disegni sulla lavagna al Mainz, club in cui ha passato 18 anni della sua vita, ecco l' idolo dell' Iduna Park, la culla di un Borussia Dortmund che con Klopp vince due titoli di Germania e ritrova antichi splendori anche in campo internazionale. E infine il Klopp di Liverpool.
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Con il suo sorriso e i suoi sogni, con i discorsi ai giocatori - «Credeteci, credeteci, credeteci. Il gol o può arrivare in qualsiasi momento» disse all' intervallo della storica rimonta di Champions contro il Barcellona - con una bacheca che brilla di una Champions, una Premier League, una Supercoppa Europea e un Mondiale per club. A 53 anni Klopp è la testimonianza vivente che nel calcio così come nella vita - si deve perdere per poter poi vincere, si deve inciampare per rialzarsi, si deve trovare la forza, da qualche parte dentro di sé.
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La lettura del libro ci consegna un Klopp pubblico e uno privato, un figlio, un padre, un uomo (che nel 2005 conosce la compagna di vita, la psicologa per l' infanzia Ulla Sandrock, mentre lavora come cameriera all' OktoberFest), un amico, un modello, un coach-manager di solida onestà intellettuale che sa stare al mondo, magari con un boccale di birra in mano. Un altro come Klopp, in giro non ce n' è. Trovate un suo collega che - dopo aver perso la finale di Champions contro il Real Madrid (la sconfitta sconfitta in finale della sua carriera) - si unisce ai tifosi del Liverpool e sdrammatizza cantando all' alba: «Abbiamo visto la coppa da vicino, ma il Real Madrid ha avuto più fortuna».
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Trovatene un altro che festeggia in lacrime la vittoria in Premier, dedicando il successo a due mostri sacri del Liverpool - Kenny Dalglish e Stevie Gerrard - e ammettendo: «È molto di più di quanto abbia mai sognato». Trovatene un altro che - ricevuta la lettera di un bambino tifoso del Manchester United che gli chiede di "smettere di vincere" - si prende la briga di rispondergli personalmente, provando a spiegare perché il calcio è questo e perché è suo dovere provare a dare il meglio, sempre e comunque, affidandosi - in campo - al Gegenpressing - cioè recuperare appena possibile il pallone perduto - in fondo una vera e propria filosofia di vita: si sbaglia, ci si riprova, si perde, si vince, si va avanti.
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In un libro di qualche tempo fa - Le undici virtù del leader - l' ex campione del mondo Jorge Valdano ci indicava le qualità necessarie per marcare una differenza. La credibilità che si alimenta di valori, la speranza che si riesce a trasmettere, la passione, lo stile, l' umiltà, la virtù della parola e via così: sembra il ritratto di Jürgen Klopp fatto in un' epoca in cui Klopp non era ancora Klopp.
Certo, Zinedine Zidane ha vinto di più in un periodo più breve, il tiki-taka di Pep Guardiola tra cinquant' anni verrà studiato nei libri di storia; ma più di loro Jürgen Klopp ha una qualità: l' empatia.
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Ovvero la capacità di comprendere appieno lo stato d' animo altrui, nella gioia e nel dolore. Pensateci: davanti ai bivi che la nostra vita ogni giorno ci offre, non vorremmo Zidane e neppure Guardiola, ma al nostro fianco ci piacerebbe avere Klopp perché siamo convinti che solo lui saprebbe trovare le parole giuste per farci scegliere, con il cuore leggero e l' anima in spalla. Scatenate l' inferno, sì. Scatenatelo voi che credete - come Klopp - che nel calcio risieda l' armonia del mondo e che il pallone sia la password per la felicità. Scatenate l' inferno e tuffatevi dentro, nel mare agitato di un mondo sempre in tempesta, lì dove bruciano le ambizioni e sono le stelle ad indicare il cammino.
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