Giacomo Amadori per “la Verità”
luciano benetton ai funerali di leonardo del vecchio.
C'è un'inchiesta a Roma che non occupa le prime pagine dei giornali, ma che potrebbe bucare il cuscinetto che da anni separa il fascicolo sul crollo del ponte Morandi e i suoi 43 morti dalle possibili cause «remote» della tragedia, ovvero la ricerca forsennata di dividendi da parte della vecchia proprietà, Atlantia, che ha come socio di riferimento la famiglia Benetton.
L'indagine è partita da Genova su input di quattro avvocati firmatari di un esposto per conto di una serie di comitati di cittadini e associazioni di categoria. I legali (Raffaele Caruso, Andrea Ganzer, Andrea Mortara e Ruggiero Cafari Panico, docente esperto di diritto comunitario) hanno anche chiesto il sequestro della società Autostrade.
Autostrade
La Procura cittadina ha inviato l'esposto a Roma per competenza, Roma l'ha rispedita nel capoluogo ligure e a quel punto la Cassazione ha stabilito che dovesse restare nella Capitale. Qui il fascicolo è passato dalla pm Elena Neri al collega Fabrizio Tucci ed è entrato nell'orbita del pool dei reati della pubblica amministrazione, coordinata dal procuratore Franco Lo Voi e dall'aggiunto Paolo Ielo. Le indagini sono state delegate al Nucleo provinciale di polizia economico-finanziaria.
crollo ponte morandi
Il fascicolo è stato iscritto a modello 44 ovvero senza indagati, ma con precise ipotesi di reato che, secondo gli esponenti, potrebbero andare dalla truffa ai danni dello Stato al peculato (lo sperpero di denaro pubblico). Ipotesi adesso al vaglio degli inquirenti.
Il peccato originale è citato nei bilanci di Autostrade per l'Italia laddove si parla della cosiddetta IV convenzione aggiuntiva Anas-Autostrade del 23 dicembre 2002 il cui iter amministrativo si è concluso con un decreto legge del 2003 convertito in legge nel 2004. Ebbene quella norma prevedeva incrementi nei pedaggi che andavano ad aggiungersi alla tariffa forfettaria a chilometro introdotta nella convenzione del 1997 e propedeutica alla privatizzazione.
luciano benetton
Si trattava di una seconda quota di pedaggio destinata a finanziare nuove infrastrutture: nove svincoli, la terza corsia del Grande raccordo anulare, la quarta della Milano-Bergamo, la Lainate-Como-Grandate, la terza corsia della Rimini nord-Pedaso. Ma soprattutto la Gronda di Ponente, nuovo tratto autostradale genovese. Un passante del costo di 1,8 miliardi di euro, che 20 anni dopo non è (ancora) stato realizzato. Complessivamente si trattava di opere del valore di 4,7 miliardi.
E quei «pagherò» o, meglio, quei «costruirò» hanno rappresentato «la base di calcolo per l'individuazione della tariffa autostradale che lo Stato permette al concessionario di applicare». Gli investimenti previsti nell'accordo sono stati sin dall'inizio inseriti nel capitale netto investito visto che al termine della concessione tra governo e società e, al netto degli ammortamenti, era previsto ritornassero sotto il controllo dello Stato.
liguria code in autostrada 1
Ma parte di quelle infrastrutture, come detto, non sarebbe mai stata realizzata e i fondi destinati a esse sarebbero comunque stati incassati e serviti a finanziare il debito da 8 miliardi che Atlantia aveva contratto con gli azionisti di Aspi quando aveva realizzato l'Opa per acquistare il 53,8 per cento di azioni a un prezzo considerato all'epoca elevato. Quella scalata venne effettuata con la nuova convenzione in tasca e l'assicurazione di poter contare su una ulteriore fetta di pedaggi. Infatti la nuova componente tariffaria non ha sostituito quella base, che, a quel punto, rimaneva un serbatoio continuamente alimentato dai pedaggi, ma scollegato dai lavori eseguiti e dai costi di servizio.
AUTOSTRADE PER L ITALIA
In questo modo veniva garantita una remunerazione superiore a quella autorizzata dalle norme europee per le concessioni pubbliche, che non potrebbe superare il 7 per cento (un tetto calcolato sul tasso medio dei rendimenti degli investimenti). Uno sganciamento che si sarebbe protratto nel tempo.
Nell'esposto si legge che il margine di utile, grazie al salvadanaio segreto, potrebbe aver raggiunto il 25 per cento annuo rispetto ai costi degli investimenti effettivamente sostenuti. Gli utili sarebbero stati utilizzati per saldare i mutui accesi con le banche per acquistare le azioni.
ALESSANDRO E LUCIANO BENETTON
In poche parole i Benetton starebbero saldando i loro debiti con i pedaggi «gonfiati» da opere mai realizzate anziché con i loro utili che, grazie al giochino del «finto capitale investito», sarebbero potuti crescere oltre tre volte il limite consentito dalle norme europee. Ma lo storno delle risorse provenienti dai pedaggi degli automobilisti (si tratta per questo di denaro pubblico) verso obiettivi diversi da quelli originari avrebbe avuto come drammatica conseguenza la riduzione degli investimenti per le manutenzioni, che si sono rivelate insufficienti.
Dunque quello di Aspi sarebbe un tipico caso di leveraged buyout, di acquisto a debito, mascherato grazie all'avallo dello Stato (per questo sperpero di denaro pubblico si ipotizza anche il peculato).
autostrade
Ci spiega uno dei tecnici che hanno collaborato all'esposto: «Nella vicenda ci sono un soggetto industriale (Aspi) e un soggetto finanziario (Atlantia) e il soggetto finanziario si è mangiato il soggetto industriale. I problemi nascono quando Atlantia diventa il vampiro di Aspi e questa perde il residuo contenuto industriale diventando solo un bancomat».
Prosegue il consulente: «Con la revisione della concessione Autostrade è stata incaricata di realizzare ulteriori iniziative (tra cui la cosiddetta Gronda); questi nuovi ipotetici investimenti hanno concorso alla determinazione della tariffa, apparentemente senza controlli sull'effettiva realizzazione di quanto previsto dalla convenzione. Inoltre le nuove condizioni devono avere convinto i Benetton a scalare Aspi per poi trasformare il debito in un asset aziendale, alla stregua di un ponte».
Ma lo scherzetto è stato giocato anche all'Unione europea. «Le regole comunitarie stabiliscono che è legittimo dare un bene pubblico in concessione ai privati e consentire un guadagno, ma impongono che gli utili abbiano dei limiti affinché il privato non speculi e per questo viene fissato un tetto».
luciano benetton
Che con i Benetton sarebbe clamorosamente saltato. Del trucco si sarebbero accorti anche i funzionari del ministero dei Trasporti che hanno ripreso in mano il dossier prima di concordare con la Commissione europea la proroga della concessione. «Il crollo del Morandi è la punta dell'iceberg. Ma alla base c'è la questione della gestione delle infrastrutture. Un settore in cui c'è stata una compressione dei costi di manutenzione a favore della massimizzazione dei dividendi, a discapito della sicurezza. È questo il nocciolo di tutto», chiosa un investigatore.
Gli uomini della Guardia di finanza hanno dato il via alle prime attività a fine 2021 e acquisito da Genova il materiale ritenuto d'interesse, a partire da quello riferito alla formazione delle tariffe. A marzo hanno sentito formalmente uno dei consulenti degli autori dell'esposto, il ragionier Giovanni Battista Raggi, dal mese scorso nuovo presidente dell'azienda dei rifiuti di Genova, l'Amiu.
AUTOSTRADE
Le investigazioni stanno continuando e i riscontri a quanto denunciato iniziano a emergere. L'unico problema sarà evitare il rischio prescrizione. Ma il prosciugamento di risorse destinate a investimenti in nuove opere pubbliche e manutenzioni sarebbe andato avanti sino ai giorni nostri. Insomma il pericolo sarebbe scongiurato dalla continuazione degli effetti. E così la vera inchiesta sulla presunta ingordigia dei Benetton e dei loro collaboratori potrebbe presto andare in scena nella Capitale.