1 - RAGGI: «NON SONO VACCINATA PERCHÉ HO GLI ANTICORPI ALTI». L’IRONIA DI ZINGARETTI: «SINDACA “NÌ VAX”»
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«Non sono una no-vax, non sono vaccinata perché ho ancora gli anticorpi e il medico mi ha suggerito di non farlo». Così Virginia Raggi, sindaco di Roma in corsa per il secondo mandato, si è espressa riguardo la possibilità di obbligo vaccinale, intervistata a In Onda su La7.
«Ognuno deve sentire il proprio medico e fare quello che gli consiglia — ha aggiunto la prima cittadina, che nei mesi scorsi aveva contratto il Covid —. Il tema della vaccinazione deve essere un tema medico, i politici non devono mettersi a fare battaglie di principio e farlo diventare un tema elettorale. Se diventa un tema elettorale vuol dire che non ci sono altri temi di cui parlare».
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E poi, aggiunge la prima cittadina della capitale: «Non mi sento di dire se sono favorevole o contraria, credo siano questioni che devono decidere i medici. Fare un appello per vaccinarsi? Non lo faccio, mi sento di dire di rivolgersi al medico e fare quello che dice».
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Le parole dell‘esponente di primo piano dei Cinque stelle accendono però il dibattito politico. Il primo ad attaccare è il governatore del Lazio: «Fino a oggi conoscevamo i No Vax — incalza Nicola Zingaretti —. La sindaca, ancora per un mese, della nostra amata capitale ha inaugurato la figura dei "Nì Vax". Tradotto: non decido su niente come faccio da 5 anni. E i romani pagano».
A rincarare la dose arriva Carlo Calenda, leader di Azione in corsa come sindaco della Capitale: «È davvero grave che la sindaca della capitale d’Italia, nel mezzo di una battaglia durissima per mettere in sicurezza il Paese, si esprima in questo modo».
2 - SIEROLOGICO PRIMA DEL VACCINO CONTRO COVID-19: NESSUNA UTILITÀ
Da https://www.fondazioneveronesi.it/
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“Allo stato attuale delle conoscenze, la sierologia non guida la decisione di vaccinarsi o meno”. Tradotto: chi dice di avere gli “anticorpi alti” e per questa ragione evita di sottoporsi alla seconda dose di vaccino o alla prima ed unica (entro i 12 mesi dall'infezione) dopo Covid-19 mette a repentaglio la propria salute e quella della comunità intera.
È questo, in estrema sintesi, il parere della comunità scientifica ribadito con forza dall'immunologo Alberto Mantovani, professore emerito presso l'Humanitas University e presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca.
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Quando il nostro corpo viene in contatto con un agente esterno potenzialmente dannoso produce una reazione immunitaria composta da due fasi: quella aspecifica - presente già alla nascita e non dipendente da incontri pregressi - e quella specifica - diretta in maniera precisa contro quel determinato agente esterno.
Quest'ultima è essenzialmente mediata da due tipi di cellule: i linfociti B e i linfociti T. I primi sono i responsabili della produzione di anticorpi, i secondi della risposta cellulare al virus. In entrambe in casi in seguito da un'infezione o alla vaccinazione si creano specifiche cellule della memoria in grado di attivarsi in caso di incontro con il patogeno.
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IL DOSAGGIO DEGLI ANTICORPI È UNA MISURA GROSSOLANA
Il modo più semplice per verificare l'avvenuta risposta immunitaria è la ricerca e il dosaggio degli anticorpi. Nel caso di Sars-Cov-2 ciò che si va a dosare è la presenza degli anticorpi diretti contro la proteina spike del virus.
Attenzione però a pensare che più sono presenti anticorpi e più la persona risulti maggiormente protetta. “Il dosaggio - spiega Mantovani - è una misura grossolana della risposta immunitaria. Non c'è, ad oggi, quello che viene chiamato un “correlato di protezione”, un livello di anticorpi misurato secondo standard internazionali che assicuri protezione dallo sviluppo dei sintomi da Covid-19 o che indichi se una persona si deve vaccinare o meno”.
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Un concetto - quello espresso all'unanimità dalla comunità scientifica - che deve essere tenuto bene a mente dalle persone che, sottoponendosi al sierologico prevalentemente per curiosità, alla lettura di un valore giudicato arbitrariamente alto evitano di sottoporsi alla seconda dose o a vaccinazione dopo aver contratto il virus nei mesi precedenti.
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“La risposta immunitaria al virus - prosegue Mantovani - è estremamente complessa. Ridurre il tutto ad una conta degli anticorpi non è corretto poiché esistono tutta una serie di altre componenti non valutabili con un semplice dosaggio anticorpale - come le cellule B della memoria e la risposta mediata dalle cellule T - utili a contrastare efficacemente Sars-Cov-2”. Che aggiunge: “Alla luce di queste considerazioni la scelta di vaccinarsi non può dipendere dalla valutazione ottenuta mediante un esame sierologico”.
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A riprova del fatto della necessità di due dosi, indipendentemente da quanti anticorpi si sviluppano, ci sono i dati ottenuti da milioni di somministrazioni in giro per il mondo. Completare il ciclo vaccinale - soprattutto in presenza della variante Delta, estremamente più contagiosa del virus originale - è di fondamentale importanza: un recente studio ha infatti dimostrato che l’efficacia nel prevenire la malattia sintomatica di una sola dose di Comirnaty e Vaxzevria si attesta intorno al 30%. Con le due dosi invece si ritorna a percentuali elevate.
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Un discorso simile vale anche per chi in passato ha avuto la malattia Covid-19 sintomatica. In linea generale, studi alla mano, dopo la malattia sintomatica basta una sola dose (effettuata entro i 12 mesi) di vaccino per ottenere una risposta immunitaria “ibrida” di lunga durata e più sostenuta rispetto ad un ciclo vaccinale completo in assenza di pregressa infezione.
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Una caratteristica che indica chiaramente l’utilità di vaccinare in singola dose gli ex-malati. “Questo è particolarmente vero negli anziani, maggiormente soggetti a possibili reinfezioni a causa di un sistema immunitario non più così efficiente. La sola immunità data dalla malattia non è sufficiente ed è per questo che la vaccinazione è decisamente consigliata” conclude Mantovani.
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