Jacopo Iacoboni per La Stampa
Come si conviene a ogni info war, la quarantena dell’Italia è iniziata l’8 marzo con dei leaks di cui ancora non sappiamo l'origine. La bozza del decreto che chiudeva le regioni del Nord – curiosamente e pericolosamente – era stata fatta circolare (non si sa bene da chi, nella Roma dei palazzi politici) dalle 19 della sera prima, sabato 7 marzo. Ne avevano scritto i siti dei giornali più importanti e ne avevano parlato i titoli dei telegiornali, “Chiude il Nord Italia”, molto prima della conferenza stampa notturna del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
informativa di giuseppe conte sull'emergenza coronavirus
Una folla di gente a Milano, tantissimi immigrati dal sud Italia, era corsa in stazione centrale per prendere l’ultimo treno disponibile per tornare a casa al sud. Panico, ressa, paura. Senza contare la potenziale, aumentata diffusione del contagio al Sud. Da allora la gestione dell’emergenza per il Coronavirus in Italia ha mescolato conferenze stampa del presidente del Consiglio spesso senza domande, annunci che trapelavano prima ai giornalisti e poi alla Nazione, senso di attesa spasmodica e incertezza nel Paese, sempre più inquieto e disorientato.
I discorsi al Paese del capo del governo italiano sono, nell’Italia del Coronavirus, delle dirette (spesso trasmesse sulla sua pagina Facebook) in cui generalmente il premier annuncia, molto spesso a ora tarda o nei weekend, che parlerà alla nazione per fare comunicazioni importanti. Tra l’annuncio della diretta e la diretta stessa possono di solito passare anche alcune ore, nelle quali succede immancabilmente che la pagina Facebook di Conte s’impenni di volta in volta a suon di 50mila follower in più, per la gioia dei gestori dei suoi account social.
il videomessaggio di giuseppe conte sul coronavirus 3
In più di un’occasione, complice il lockdown del Paese, non ci sono i giornalisti, anche loro chiusi in casa. Qualche volta sono collegati in videochat, ma la scaletta delle domande del briefing avviene secondo un ordine preciso (il nostro Dominic Cummings è il portavoce del premier, Rocco Casalino, che vent'anni fa divenne noto in Italia per esser stato tra i concorrenti della prima edizione tv del Grande Fratello).
Lo spazio per porre domande si restringe per tutti, a causa della lontananza fisica e del social distancing: ideale situazione per una normalizzazione di fatto dei rapporti con il Paese. Nell’èra delle digital ops, con al governo il partito che è arrivato a coincidere con un grande esperimento di propaganda social (i 5 Stelle di Casaleggio), la comunicazione con l’Italia anziché orizzontale si fa verticalissima e quasi senza scampo per gli italiani che, chiusi in casa, non possono che ascoltare. Internet diventa come la radio negli anni di guerra novecenteschi.
cosa c'e' dietro conte? le ciabatte di casalino?
E quando le domande arrivano, non sempre le risposte sono quelle che sarebbero necessarie, per capire se il governo ha una strategia, quando dovremo uscire gradualmente dalla quarantena. Il premier Conte, nello stesso tempo sopravvalutandosi e cercando di mettersi al riparo da tutto, ripete la metafora del film L'ora più buia, evoca Winston Churchill sul suo account twitter, e dice «Ci giudicherà la storia». Quasi come se fosse impossibile che a giudicarlo sia, laicamente, la libera critica, e l’opinione pubblica italiana, qui e ora. Senza aspettare la storia. Sembra che porre questioni sia via via fatto passare come atteggiamento anti-italiano.
giuseppe conte e rocco casalino
Tutti i medici e gli scienziati spiegano che il lockdown del Paese era necessario. L’Italia è stata saggia e abbastanza veloce nell’imporlo, a differenza di Boris Johnson e delle sue teorie sull'immunità di gregge: qui questo ce lo siamo risparmiato. In Italia il premier non è andato in giro a vantarsi di stringere mani a chiunque perché «stringere mani è importante». Ma anche in Italia è capitato di sentirsi dire dal capo del governo in tv (a fine febbraio) che «siamo all’avanguardia nella prevenzione».
giuseppe conte furioso in conferenza stampa
Una frase risultata drammaticamente non vera. E il punto di questa normalizzazione, che frena il virus ma nel frattempo riduce la vita, l’economia, la critica, è questo: come faremo a uscire di casa prima o poi se non avremo usato il tempo della quarantena per approntare misure complementari alla quarantena, come il tracciamento digitale dei contagiati asintomatici, il trattamento domiciliare dei malati che restano a casa, e soprattutto un’estensione dei test che ci faccia capire quanta gente ha davvero il Covid-19, magari senza aver sviluppato la malattia, o avendo reagito?
E’ questo forse l’aspetto più preoccupante della normalizzazione italiana: nell’epoca in cui avremmo potenzialmente intelligenza artificiale e big data da studiare – possibilmente rispettando la privacy, no Cambridge Analytica, grazie – il governo ha combattuto il Coronavirus come se fossimo nel Medioevo: chiudendo il paese in casa e sperando che in qualche modo passi. Niente smart data, poca vera trasparenza. Una task force per il tracciamento digitale è stata creata, venti giorni fa, anche sulla spinta di articoli e critiche de La Stampa, ma ancora non ha prodotto un risultato certo. E senza fornire (o forse, che è peggio, senza avere) dati reali come possiamo sapere quando sarà giusto e opportuno tornare a uscire?
borrelli
Anni di propaganda anti-scienza, anti-vaccini, anti-medicina (in effetti i brexiteers e il Movimento 5 Stelle sono stati profondamente alleati anche in questo), e ora, dietro una finta adesione alla scienza, assistiamo nei fatti allo stesso rifiuto di dati e trasparenza.
In un altro dei tanti leaks di questa stagione – la bozza della Relazione Tecnica di uno dei decreti del capo del governo, il decreto “Cura Italia” (ognuna di queste leggi emanate direttamente dal premier viene chiamata con nomi a metà tra il propagandistico e l’orwelliano) – c’era un grafico con questa didascalia:
coronavirus Italia
«Sulla base dei dati riportati sul sito del Ministero della Salute sull’andamento dei contagi fino al 8 marzo e ipotizzando un andamento futuro dei contagi giornalieri come dal grafico seguente, elaborato considerando un raddoppio dei contagi in circa 3 giorni fino a metà marzo e successivamente un graduale calo dovuto alle misure di contenimento varate dal Governo, questo andamento porterebbe ad un numero di soggetti contagiati complessivi pari a circa 92.000».
Il grafico non compare nella versione definitiva del decreto, ma le stime restano quelle: il picco sarebbe dovuto arrivare il 17 marzo, e da lì ci si attendeva una discesa. La cosa non si è verificata, perché il 19 marzo i casi sono di nuovo saliti di 5322, più di 1100 oltre quanto aveva previsto il governo. Sbagliare è possibile, naturalmente, ma di quali dati stiamo parlando? E chi comanda, nel Comitato scientifico del premier? Nessuno finora l’ha ben compreso.
contagi italia coronavirus
In Italia ogni giorno la Protezione civile – che ha migliorato molto la capacità di risposta ospedaliera, e il numero dei posti in terapia intensiva, aumentandoli dell’80 per cento - fa una conferenza stampa con un elenco preciso dei nuovi contagiati, dei malati in terapia intensiva, dei guariti, e dei morti. E’ un generoso e contrito bollettino di guerra, dal quale è totalmente assente la base di una strategia, perché mancano sempre due dati cruciali: il numero reali di tutti i contagiati, compresi dunque gli asintomatici, e la loro localizzazione.
Tutti i medici pensano che questo numero sia più alto di dieci volte del numero ufficiale, e lo stesso capo della Protezione civile Angelo Borrelli l’ha ammesso. Il numero dei morti è sottostimato: perché sono molte moltissime persone nelle case, con i sintomi del Coronavirus, ma senza esser mai state testate. Il numero dei test-tampone non coincide con il numero di persone testate: perché due tamponi vengono fatti a chiunque sia guarito, per confermare la guarigione. E perché tantissimi malati restano senza tampone.
In una conferenza stampa della Protezione Civile nel giorno di Pasqua, uno dei medici del comitato scientifico governativo ha pronunciato una frase che spiega molto di questa situazione: «Fare più test in qualche modo falsa il numero dei positivi perché più ne facciamo più ne troviamo», ha detto Luca Richeldi, primario di pneumologia all’ospedale Gemelli di Roma. Ma è vero il contrario: il numero è stato falsato dal non averne fatti prima abbastanza.
LUCA RICHELDI
In Italia ci sono stati gravi outbreak ospedalieri, e sono scoppiate devastanti epidemie nelle case di riposo, per esempio al Pio Albergo Trivulzio a Milano, su cui sta indagando la magistratura. Su questi fallimenti del nostro sistema abbiamo saputo troppo poco e troppo tardi, e di solito dai giornali prima che dalle autorità.
E tutto questo mentre progressivamente eravamo sempre più chiusi in casa, con farraginose auto-certificazioni cartacee per poter uscire a fare la spesa, senza capire esattamente quando riusciremo, con un’economia che potrebbe perdere 11 punti di pil nel 2020. E con un numero non piccolo di persone tentato di non rispettare le regole, e scappare appena possibile nella seconda casa al mare in montagna. Dopotutto, anche in questa normalizzazione che sa un po’ di autoritario, siamo l’Italia, anarchica e mattoide, non la Cina.