Quirino Conti
Quirino Conti per Dagospia
In questi giorni, la Moda è attanagliata da un pensoso dubbio. Se cioè Pietro Beccari, CEO di Christian Dior, sia stato colpito – come già gli accadde a Roma per Fendi – da uno dei suoi ricorrenti raptus edificatori, o se invece la stilista della maison, Maria Grazia Chiuri, sia stata rapita – come spesso le capita – da apparizioni e mistici mancamenti al pari delle sue più celebri sante colleghe visionarie.
Dior by Chiuri collezione Parigi
Se quindi quel singolare palazzetto-maquette infilato su Mona Tougaard come un abito metafisico sia frutto dell’abilità costruttiva del primo (vedi trasloco all’EUR degli uffici Fendi; del resto, è nota la sua prodigalità: si tratti di investimenti immobiliari o di ciclopici monumenti arborei), oppure, cosa non impossibile, se anche questa ispirazione creativa sia riconducibile a quel celebre sogno mistico di papa Innocenzo III, nel quale il Poverello di Assisi era incaricato dal Cielo di reggere sulle sue spalle le sorti del Laterano e della Chiesa in rovina (e simmetricamente, nello specifico stilistico, le oscure trame della Maison Dior sulla possente portata della sua direttrice creativa). D’altro canto, la pedana era come al solito percorsa da fremiti vocazionali: dai piedi nudi calzati in rudi sandali alle vesti di un nero più che penitenziale.
Dior by Chiuri - collezione Parigi
Insomma, quel solido e non proprio comodissimo abitino genere Petitot, architettonico e antistupro, si deve all’ingegneresca progettazione del manager o alla piissima stilista ex Valentino?
Ma c’è anche chi spingendosi oltre, fantastica un’insolente somiglianza della veggente di Avenue Montaigne con la fascistissima Marine Le Pen: con tutto quel nero, potrebbe essere un prodromo di moda autarchica. Del resto, l’aria è quella.
Dunque, atmosfera reazionaria, quietista e misticheggiante: persino – per la prima volta nella storia dello Stile – con un san Girolamo nel suo studiolo (Antonello da Messina) messo in scena dalla sontuosa Schiaparelli di Diego Della Valle con il suo ennesimo nuovo stilista, questa volta texano; in pedana, dinanzi al suo faticato tavolo da lavoro, a disegnare (non proprio nell’intimità) creature di un altro mondo.
maria grazia chiuri (2) foto di bacco
E nel finale, una santa Teresa d’Ávila (tale e quale): estasiata tra le candide nuvolaglie barocche di Bernini. Quindi, angeli neri da Givenchy. E fiocconi, nodi, sbuffi e cocche in versione beatissime vergini spagnole à la Zurbarán per Valentino; curiosamente completate da copricapi simili in tutto – nappe, pon-pon, frange e pennacchi – ai festosi apparati decorativi dei buoi pontini dipinti da Louis-Léopold Robert nel suo Grand Tour (1818-31).
Pietro Beccari alla serata dior foto di bacco (22)
Anche se la più riverente di tutti fu Chanel, con rigorosi soprabiti neri, per ottimi e protocollari monsignori.
Così, più o meno, a Parigi. Ma con un perfetto Armani, tanto affine all’appena sfornato Chanel da far pensare. E perché allora non lui al posto del trapassato Kaiser?
Comunque, anche in questa stagione, la Moda quale ombra del Tempo si riconosce solo da Margiela, per le instancabili invenzioni del genio di John Galliano.
Chanel 1953 Chanel collezione Parigi Schiaparelli collezione Parigi Schiaparelli collezione Parigi Givenchy collezione Parigi Givenchy collezione Parigi Valentino collezione Parigi Valentino - collezione Parigi Armani Prive collezione Parigi Armani Prive collezione Parigi Maison Margiela collezione Parigi Maison Margiela collezione Parigi Maison Margiela collezione Parigi Chanel collezione Parigi