Marcello Sorgi per “La Stampa”
La rottura tra Italia e Francia sul destino dei migranti e sul comportamento delle navi delle Ong sembrava avviata a soluzione dopo un colloquio telefonico tra Mattarella e Macron, seguito da un comunicato condiviso in cui i due presidenti si ripromettevano di ristabilire la collaborazione tra i due Paesi e all’interno dell’Unione europea.
GIORGIA MELONI IGNAZIO LA RUSSA SERGIO MATTARELLA
Colloquio e comunicato di cui, neanche a dirlo, il Capo dello Stato aveva preventivamente informato la premier Meloni, che ovviamente non si era opposta. Ma quando il risultato positivo dell’iniziativa del Quirinale è divenuto pubblico, è stato il presidente del Senato La Russa a obiettare che la pace tra Roma e Parigi può avvenire solo riconoscendo che il governo italiano ha fatto bene a tenere “la barra diritta” su migranti e Ong.
Nella lunga crisi italiana, che si avvia a compiere trent’anni, un esplicito dissenso tra la prima e la seconda carica dello Stato non s’era ancora visto. E non perché debbano necessariamente andare d’accordo, ci mancherebbe. Ma perché i ruoli delicati che ricoprono impongono di non prendere parte attivamente al confronto politico, riservandosi, appunto, una posizione terza.
SERGIO MATTARELLA EMMANUEL MACRON
La Russa lo aveva riconosciuto all’atto della sua elezione sullo scranno più alto di Palazzo Madama, giurando, letteralmente giurando che sarebbe stato il presidente di tutti. Salvo poi prendere partito ieri e schierarsi con il governo.
Cosa si siano detti Mattarella e Macron è rimasto riservato, anche se il comunicato comune fa fede delle loro intenzioni. Ma al di là della correttezza formale che lo ha spinto a concordare con la premier i dettagli della propria iniziativa, è chiaro che il Presidente della Repubblica, parlando con il suo omologo francese, non sarà certo entrato nei dettagli dell’incidente diplomatico che ha visto giovedì la durissima reazione dell’Eliseo in risposta, sia alla presa di posizione di Salvini dopo l’annuncio della partenza della nave Ocean Viking, sia alla nota con cui Palazzo Chigi, volendo esprimere gratitudine a Macron, lo faceva apparire piegato dalla “linea dura” dell’esecutivo.
GIORGIA MELONI IGNAZIO LA RUSSA 1
Mattarella si sarà limitato a spiegare che non valeva la pena compromettere la relazione speciale tra Italia e Francia, sancita dal Trattato del Quirinale, per quello che tutto sommato poteva essere considerato un equivoco.
Altrettanto chiaro è perché La Russa - e poco dopo, in termini più prudenti, il vicepresidente della Camera Rampelli, anche lui di Fratelli d’Italia - abbia sentito il bisogno di prendere le distanze da una mossa così ragionevole, che subito ha prodotto il risultato di un allentamento della tensione tra i due Paesi.
SERGIO MATTARELLA IGNAZIO LA RUSSA
Sebbene non toccasse a lui dirlo, il presidente del Senato, esattamente come Meloni, ha sentito il bisogno di marcare l’aspetto “identitario” della svolta di destra segnata dalle elezioni. Costi quel che costi, anche il rischio di scortesia istituzionale verso il Quirinale, e ancor di più che il colloquio tra Mattarella e Macron possa diffondere il dubbio di un governo in rodaggio o sotto tutela, pronto ad accettare il compromesso tracciato dal testo diffuso di comune accordo dai due.
SALVINI MELONI
No, Mattarella faccia quello che vuole, ma il governo non arretra neppure di un millimetro. E non arretra, non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, per timore che Salvini, fin qui entusiasta della durezza verso le Ong, e disposto a condividerne il merito con Meloni, possa approfittarne dicendo che la presidente del Consiglio ha fatto marcia indietro.
Allo stesso modo è intuibile quale sarà il passo successivo del governo: la riproposizione di quei “decreti sicurezza” che prevedevano la confisca delle navi delle Ong che Salvini, allora ministro dell’Interno, aveva imposto all’esecutivo gialloverde.
SERGIO MATTARELLA IGNAZIO LA RUSSA
Sarà il nuovo provvedimento “identitario” con cui il governo vorrà far capire all’Unione, una volta e per tutte, che sugli interessi nazionali l’Italia non transige. A qualsiasi prezzo: anche la progressiva emarginazione dall’Europa che deve approvare la manovra economica di fine anno e non metterci in mora per i ritardi nella preparazione del Pnrr.
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