ITALIA - LE DIFFERENZE NORD SUD
Francesca Paci per “la Stampa”
Sud Italia e Centro-Nord non sono mai stati così lontani. Nonostante il reddito di cittadinanza (con un impatto per ora pressoché irrilevante sul lavoro) e le sempre annunciate buone intenzioni della politica, il Meridione resta un mondo a parte, dove la crescita ristagna più che altrove e negli ultimi vent' anni almeno due milioni di persone sono emigrate in cerca di futuro, la metà dei quali under 34, quasi un quinto laureati. Il quadro fornito dal rapporto annuale sull' economia del Sud, Svimez, è a dir poco cupo.
peppe provenzano
Secondo gli studiosi, dalle cui fila viene il nuovo ministro per il Mezzogiorno ed ex ricercatore Giuseppe Provenzano, il gap occupazionale con le regioni settentrionali è passato in dieci anni dal 19,6% al 21,6%, con una differenza di circa 3 milioni di posti di lavoro. Di più: se di lieve crescita si può parlare, la tendenza positiva dei primi mesi del 2019 riguarda esclusivamente il nord Italia, dove venivano registrate 137 mila nuove assunzioni mentre dalla parte opposta della capitale se ne perdevano 27 mila.
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Con un Pil in calo dello 0,2% (contro il +0,3% del Centro-Nord), il sud, dicono i dati Svimez, è tecnicamente in recessione. E le prospettive non sono rosee, se per il 2020 si prevede una crescita del +0,2% a fronte di un media nazionale del +0,6%. Da questo punto di vista, pur non essendo giudicato negativamente dal rapporto, il reddito di cittadinanza impatta ben poco: da un lato non avvicina le persone al mercato del lavoro, dall' altro alimenta l' illusione che «la povertà» si combatta «solo con un contributo monetario» e infine semplifica la divisione dell' Italia in due blocchi, quello «produttivo» e quello «assistito». Il risultato è la fuga dei cervelli, delle braccia, dell' energia vitale.
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«L'emorragia che svuota il Sud è il problema più grave e ci racconta anche quanto non sia più attuale la visione del Mezzogiorno di origine salveminiana e federalista, per cui a certe condizioni quella terra si sarebbe risollevata autonomamente», spiega a La Stampa Emanuele Felice, docente di politiche economiche all' università di Pescara e autore del corposo saggio Perché il Sud è rimasto indietro.
Secondo Felice negli ultimi 10 anni le cose sono cambiate e tanto: «Oggi, in un mondo aperto, se il Meridione viene lasciato solo si svuota. Sta già accadendo. Un tempo la fertilità era alta, il saldo tra chi emigrava e chi restava era positivo. Da tempo però la curva volge al basso, ora la crisi demografica è più forte al Sud che al Centro-Nord. La tendenza è in aumento, a meno d'invertire la rotta con una terapia d'urto dall' alto, investimenti, infrastrutture, istruzione, istituzioni».
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Calcola Svimez che se in Italia mancano i bambini, al Sud ne mancano ancora di più, con 6 mila nati in meno l' anno rispetto ai 157 mila del 2017. Senza un cambio di passo nel 2065 «la popolazione in età da lavoro diminuirà del 15% nel Centro-Nord e del 40% nel Mezzogiorno con un perdita nazionale di un quarto del Pil (un terzo al Sud). «Se riparte il Sud riparte l' Italia», replica il premier Giuseppe Conte, insistendo che lungi dall' essere uno slogan si tratta di una priorità del suo governo e annunciando il Piano per il Sud «entro fine anno». Le lancette corrono però, e tenere il passo tutti insieme è una scommessa.