Maria Giovanna Maglie per Dagospia
donald trump
Lo aveva detto e lo ha fatto: un ordine esecutivo che in parte cancella con la forza della presidenza le regole di Obamacare in vigore e autorizza a comprare assicurazioni sanitarie a costo inferiore con meno servizi. Dovrebbe consentire a privati non abbienti e a piccole imprese di associarsi per ottenere una maggiore scelta nella copertura assicurativa. Susciterà polemiche? A non finire, ma risponde alla lamentela più diffusa sui costi insopportabili dell'attuale assistenza sanitaria, e dimostra al Congresso che il presidente si muove e li contrasta. Anche se sono avversari del suo stesso partito.
Diamo per scontato che la mega indagine sul Russia Gate stia stagnando nelle sale del super procuratore; salutiamo con il necessario scetticismo l'ipotesi che qualche testa calda democratica riesca a mettere sotto impeachment il presidente se prove dalla suddetta inchiesta non ne vengono fuori, o che un complotto del governo col vicepresidente ne ottenga la cacciata attraverso l'applicazione del venticinquesimo emendamento della Costituzione che lo dichiari incapace di intendere e volere, emendamento mai messo in pratica nella storia degli Stati Uniti.
La verità è che come sempre a giudicare un presidente che mezzo Paese ha voluto contro tutto e contro tutti, ad allargare il consenso anche in un clima di odio civile, è l'economia, it's the economy, stupid. Su quella Donald Trump va forte.
donald trump barack obama
Neanche gli uragani hanno fermato la lunga marcia positiva dell'economia americana nel 2017. Il numero complessivo di lavoratori disoccupati che ricevono un sussidio è al numero più basso degli ultimi 44 anni, un milione e 89 mila alla fine di settembre. Sono i dati del dipartimento del lavoro, che precisa che le nuove domande di sussidi sono scese di altri 15 mila unità a 243 mila nella prima settimana di ottobre e che questo significa che la ripresa dopo gli uragani è molto più veloce delle migliori previsioni.
Sono i numeri che tengono allegro Donald Trump e sono i numeri che agitano il partito democratico, al di là della cortina di fumo della campagna stampa. Tutto ora si misura con i tempi della riforma delle tasse che sono essenziali per arrivare con dei primi effetti concreti alle importanti elezioni di midterm, a metà mandato a novembre del 2018, quando si rinnoveranno 33 posti al Senato, cioè un terzo, tutti i posti della Camera, 435, e 36 posti di governatore di Stato.
La riforma delle tasse, in un Congresso nel quale i repubblicani hanno la maggioranza sia alla Camera che al Senato, ma sono 20 voti alla Camera e due al Senato, si fa rapidamente se Trump ottiene un qualche accordo con un numero anche piccoli di democratici; trattandosi di diminuire le tasse mi permetto di esprimere qualche perplessità, ma ci sono sempre 25 senatori democratici che devono essere rieletti nel 2018, e accordi dell'ultima ora con qualcuno di questi sono possibili.
paul ryan
Ma la riforma delle tasse si fa rapidamente e sicuramente se neanche uno dei repubblicani si mette di traverso e fa il figlio di puttana come è accaduto per la riforma sanitaria, il famoso e famigerato Obamacare, che e’ ancora al suo posto.
Poiché la riforma prevede un aumento ulteriore del debito è possibile che alcuni tra i più conservatori degli eletti repubblicani tentino di modificarne alcuni punti e facciano perdere tempo.
Il presidente della Camera Paul Ryan ha minacciato di far lavorare tutti anche a Natale, sapendo che non si tratta di minaccia di poco conto. Si comincia la prossima settimana e il progetto è di approvarla, e passarla al Senato a novembre. Se ho capito bene, alcuni Stati si opporranno e faranno opporre i loro rappresentanti perché hanno delle deduzioni locali di spese dalle tasse che la riforma abolisce. Ma la riforma raddoppia la deduzione standard e i benefit per i figli e alla fine potrebbe essere più conveniente. Wall Street i mercati attendono trepidanti. Vedremo.
paul ryan donald trump
È a questo tipo di difficoltà tra Casa Bianca e Congresso, tra presidente e il suo partito, che si riferiscono le continue interviste e incursioni contro la palude di Steve Bannon, ex consigliere espressione dell'ala nazionalista del mondo trumpiano, ora tornato libero da impegni a Washington e in grande attivismo.
Bannon ha accennato a una possibilità che il presidente non termini il suo mandato per via del Venticinquesimo Emendamento, e apriti cielo. In realtà tira acqua al suo mulino, perché si è messo legittimamente a tentare di far eleggere nel 2018 i suoi senatori per modificare gli equilibri interni al partito repubblicano.
Lo fa per conto suo o lo fa per conto del presidente, al quale e’ sempre e comunque molto legato? È utile questa attività piratesca a Trump o no? La teoria di Bannon è che le mille regole e i compromessi, i lacci e lacciuoli obbligati per un presidente degli Stati Uniti, la palude della burocrazia a Washington, impediscono al suo uomo di fare tutto ciò che avrebbe voluto e che aveva promesso in campagna elettorale.
donald trump e steve bannon
Di qui la sua decisione di lasciare l'ufficialità della West Wing e fare l'ala destra del governo. Come in Pennsylvania, dove le primarie per il Senatore che prenderà il posto di Jeff Sessions, diventato Attorney general, sono finite con la sconfitta del candidato ufficiale del partito e la vittoria del candidato di Bannon.
È un mondo politico in guerra, ma è la cifra della Presidenza di Donald Trump dal momento in cui ha deciso due anni fa di candidarsi. Quanto al venticinquesimo emendamento, adottato nel febbraio del 1967, dice che il Presidente può essere rimosso dal suo incarico se la maggioranza del suo governo decide che “unable to discharge the powers and duties of his office”, non in grado di adempiere ai doveri e poteri del suo ufficio. Una decisione che lo stesso Presidente può decidere di prendere, anche temporaneamente, per esempio lo fece nel 2007 Bush prima di un intervento chirurgico.
Ora Steve Bannon dice a Vanity Fair che Trump dovrebbe preoccuparsene perché molti democratici e loro consiglieri studiano freneticamente già da un anno l'emendamento. Vero è che nella disperazione generale degli oppositori, oltre al l'impeachment si prende in considerazione anche quello che viene raccontato come un comportamento stravagante instabile e umorale del presidente.
Com'è che cosa? Come la minaccia a Porto Rico di togliergli i fondi speciali dopo l'uragano perché ne approfittano per metterci dentro richieste che riguardano lavori precedenti? È sgradevole, ma è la verità, e lui la dice. Come la storia che sembrava diventata una tragedia nazionale dei giocatori di football e dell'inno nazionale ascoltato per protesta politica in ginocchio o negli spogliatoi? Lui li ha sfidati e ha stravinto.
PORTO RICO
Roger Goodell, presidente della NFL, ha appena inviato un promemoria in cui si legge: "Come molti dei nostri fan, crediamo che tutti dovrebbero stare in piedi per l'inno nazionale. È un momento importante delle nostre partite .Vogliamo onorare la nostra bandiera e il nostro Paese, e i nostri tifosi se lo aspettano".