Flavio Vanetti per il “Corriere della Sera”
pozzecco cacciatori
Maurizia Cacciatori, con una donna non si dovrebbe mai parlare di età. Ma nel suo caso, nel 2023, è in arrivo una certa scadenza...
«I cinquant' anni, intendete? Non ci penso. Ho sempre dichiarato con serenità la mia età: non ho paura del tempo che passa, temo di più come lo seguo. Si avvicinino pure i 50: sono orgogliosa e realizzata. Con il volley ho smesso a 33 anni, la vita è fatta di cicli e io volevo una famiglia».
Ora è speaker motivazionale e parla alla platea delle aziende.
«La mia è la storia di chi ci prova, ci mette la faccia, cade e si rialza. Le aziende dovrebbero essere dei team straordinari: molte lo sono, tante no. Quindi affronto temi come leadership, valore del gruppo, gestione dei cambiamenti».
Lei ha detto: «Le coppe si vincono in allenamento».
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«E si ritirano in gara. Quello che ho conquistato l'ho vinto giorno dopo giorno, partendo dal lunedì e meritandomi il posto in squadra».
Maurizia Cacciatori e Francesca Piccinini, simboli di un'era del volley. Chi è stata più iconica?
«Non saprei. Francesca ha giocato più a lungo di me, però io sono arrivata prima: l'ho vista diventare donna. Ero una sorella maggiore? Sono stata una compagna che ha aiutato una giovane a inserirsi. Poi lei è stata straordinaria».
Mai uno screzio tra di voi?
«Mai, a parte le discussioni su qualche giocata: ciascuna aveva il suo mondo. Se dovessi indicare con chi non andavo d'accordo, farei una lista lunga. Ma la "Franci" non c'è. Ho avuto una compagna discreta e dai bei modi, mi è piaciuta come persona e ancora oggi ci sentiamo».
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Francesca nel 2002 ha vinto un Mondiale dal quale lei è stata esclusa. Ha perdonato Marco Bonitta, il c.t. che non la volle?
«Ora lo ringrazio. Vedevo tutto con occhi diversi: andavo agli Europei, ai Mondiali, ai Giochi, mai ero in discussione. Quando fui lasciata a casa, in modo inatteso, ho capito che si è in equilibrio tra momenti esaltanti e cadute».
Qualche anno dopo la squadra si ribellò e Bonitta fu sostituito.
«Marco aveva avuto atteggiamenti duri e le giocatrici avevano reagito. Le mie ex compagne sono state coraggiose».
A Sydney 2000 siete state ribattezzate le «veline» di Frigoni, il c.t. dei Giochi.
«Era la nostra prima Olimpiade, avevamo fatto mille sacrifici: sentire quelle cose ci ha fatto arrabbiare. Oggi, ripensandoci, me ne infischio, ma all'epoca non avevamo la saggezza per lasciar correre».
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Le piacerebbe essere nella Nazionale di oggi?
«Poco. Primo: è il momento di queste ragazze, se lo godano. Secondo: penso alla famiglia e a quello che devo fare. Però invidio la palleggiatrice che alza per giocatrici dal talento immenso».
Paola Egonu è una stella: eppure non si parla troppo di lei e poco delle altre?
«Paola è un esempio, per come gioca, per come si apre alle persone. I fari sono su di lei, ma le altre dovrebbero avere il coraggio di esporsi: vestire l'azzurro comporta una responsabilità in termini di comunicazione».
Torniamo alla sua Nazionale. Un bel giorno arrivò Julio Velasco e cambiarono molte cose.
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«Julio proveniva dai trionfi con gli uomini, noi eravamo preoccupate di non essere all'altezza. Velasco non ha migliorato la tecnica ma l'anima della squadra: ci ha liberato da alibi, insicurezze, dinamiche perdenti».
Vi ha anche abituato a non essere schizzinose a tavola.
«In una trasferta ci servirono la lingua di bue. Sorridemmo, per dimostrarci disponibili al "salto culturale". Però in camera tirammo fuori il salame portato dall'Italia. Ai miei figli, peraltro, ho insegnato a mangiare tutto: la lezione di Julio resta valida».
Era considerata la «pin up» del volley: orgoglio o fastidio?
«L'estetica non mi interessa, né in me né nel prossimo. Negli uomini ho preferito l'originalità. Ho sempre considerato limitato chi la metteva sul bello o sul brutto. E mi domandavo: perché non si scrive qualcosa di più intelligente?».
È vero che da bambina convinceva i fratelli a cedere i loro bomboloni dicendo che li avrebbe piantati nel giardino per far crescere un albero, rivisitazione della storia degli zecchini d'oro di Pinocchio?
«Verissimo. Amo i bomboloni fritti con lo zucchero. Mamma aveva il braccino corto: li comperava a ogni morte di Papa. Quando li acquistava finivo velocemente il mio e gabbavo i fratelli, più giovani e pronti a fidarsi della "capitana". Dicevo, appunto, che li avrei messi sotto la terra e che sarebbe cresciuto l'albero: invece li mangiavo. L'albero lo aspettano ancora oggi».
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La sua vita sentimentale: turbolenta?
«Turbolenta? Non direi, ho avuto solo 4-5 uomini. Ma tosti e di personalità».
La vicenda delle nozze annullate con Gianmarco Pozzecco a una decina di giorni dall'altare rimane il «top».
«A Gianmarco, al quale voglio ancora un mondo di bene, ho salvato la vita».
A suo tempo il Poz commentò: «Siamo stati due deficienti».
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«Nonostante gli anni assieme, quel matrimonio non andava fatto. Eravamo divertenti, buffi, spiritosi, ma quando si parla di famiglia le cose cambiano. Oggi riconosco, con Francesco Orsini, sposato nel 2014 e lui pure ex cestista, di avere un marito spettacolare. Siamo una bella coppia, anche se io sono una carrarina di marmo e lui un livornese di scoglio».
I doni delle nozze mancate furono restituite.
«Con vari errori: c'è chi aveva mandato una lampada e si è ritrovato un vaso. Qualcuno nemmeno ha avuto indietro il regalo: una figura».
Nei giorni di Sydney si diceva che Maurizia Cacciatori fosse concupita dagli hockeisti argentini e dallo spadista Paolo Milanoli.
«Bufale pure queste. Paolo è un amico ed è straordinario: ma stare con lui, proprio no.
Quanto agli argentini, nemmeno conoscevo il loro sport. Purtroppo al rientro è scoppiato un casino con il Poz: gli ho dovuto dare mille spiegazioni, non si convinceva. Ma avevo le compagne come testimoni».
Dopo le nozze saltate con Pozzecco, nel 2005 ha sposato il cestista spagnolo Santiago Toledo.
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«Sono stati quattro anni meravigliosi, la separazione è dipesa da motivi personali. Rimangono rispetto e amicizia, un giorno gli presenterò i miei figli».
Figli che si chiamano Carlos e Ines: la Spagna è nel cuore.
«Abbiamo anche una casa a Palma di Maiorca, dove ho concluso la carriera. Voglio che i ragazzi conoscano questo Paese, non restare solo a Livorno è un regalo per la loro crescita. Gli spagnoli hanno una leggerezza di cui a volte ho bisogno. E Palma è accogliente, cosmopolita».
Wendy Buffon, sorella di Gigi, è una persona per lei centrale.
«È la compagna che ha cominciato con me a Perugia, dove condividevamo casa, scuola e viaggi, perdendo un sacco di treni perché sbagliavamo le coincidenze. È la classica persona che quando rivedi dopo tanto tempo capisci che non se n'è mai andata».
Lei ha detto: «Diventando mamma, ho rivisto il rapporto con i genitori».
«Un figlio dà tutto per scontato e non vede ciò che fanno un padre e una madre».
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Due figli super-sportivi. Come i genitori. E come nonno Franco, ex portiere di calcio. «Carlos fa pure il triathlon, ma ama stare in porta più di ogni altra cosa, anche se Francesco l'ha avvicinato al basket: se la cava bene. Ines gioca a volley ed è formidabile.
A differenza del fratello, che esce di casa alle 6.30 per la preparazione atletica, è tranquilla: gioca perché trova le amiche. Però ha entusiasmo».
La mamma ex pallavolista butta un occhio agli allenamenti?
«Solo a volte. Mi sento in imbarazzo, l'allenatrice mi guarda un po' così, come se fossi lì per dire qualcosa».
Di nuovo una sua frase: «Io, Gianmarco Pozzecco e Andrea Meneghin siamo tre geni mancati della Normale di Pisa».
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«Andrea, amicone del Poz e a Varese compagno di squadra, è un'altra persona che stimo. Ci sentivamo liberi, di cavolate ne abbiamo combinate - una volta Poz e Menego tirarono le noccioline ad Alberto Sordi e io, da buona alzatrice del volley, indirizzavo la mira -, qua e là si è litigato, ma siamo stati puri e veri: gli atleti devono scatenare emozioni e passioni».
È anche quello che si chiede al Pozzecco c.t. del basket.
«Farà bene perché saprà valorizzare i giovani. C'è bisogno di trascinare i ragazzi di oggi, non concordo con chi li vede spenti e tristi: hanno un potenziale enorme».
Ha scritto «Senza Rete», un libro che non fa sconti.
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«Parlo poco di volley, è stato un modo per rivedere la mia vita e per pensare ai figli. Quando sono arrivati i cartoni con i volumi, ho detto a Ines: "Qui c'è il mio profumo". Ne ha aperto uno e ha obiettato: "Mamma, io non lo sento"».
Maurizia all'«Isola dei Famosi».
«Un'esperienza di anni fa. Ero curiosa e sicura che sarebbe stata splendida: ho avuto ragione». Ha partecipato pure a un film, «Maschi contro femmine». «Una presenza di pochi minuti, ho dato il peggio di me. Ho accettato per il cast fantastico e perché si parlava di volley, però ho mandato in tilt il regista: mi vergognavo e non mi sentivo a mio agio. Poi avevo un herpes terribile: le povere truccatrici hanno fatto gli straordinari».
C'è chi teme il decadimento fisico. Lei?
«Ho più paura di chi, a 50 anni, spera di avere sempre il volto di una ventenne. Ogni ruga racconta quello che sei stata».
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