Valerio Cappelli per corriere.it
clarissa burt massimo troisi
Clarissa Burt, un amore lungo tre anni nella vita di Massimo Troisi. Ne parla col suo fare gentile e un filo distante. È una delle voci del documentario «Il mio amico Massimo» di Alessandro Bencivenga, dal 15 al 21 dicembre nelle sale per Lucky Red, uno dei quattro che si stanno ultimando (compreso quello in uscita di Mario Martone). Nel 2023 saranno 70 anni dalla nascita di Troisi, scomparso nel 1994, tradito dal suo cuore malandato.
Come vi conosceste?
«Nel 1988, a cena da amici, era inverno, io mi lamentavo per il riscaldamento ma avevo in casa un camino. Massimo il giorno dopo mi mandò un furgoncino pieno di legna con un bigliettino: per tenerti al caldo».
E cominciò la storia.
«Era dolce, carino, affettuoso. Mi colpivano la sua gentilezza e la sua calma».
Dicono che amasse le carte e il biliardo.
«Nei tre anni in cui siamo stati insieme non l’ho mai visto giocare né a carte né a biliardo. Massimo si svegliava tardi, poi andava nello studio a scrivere progetti. Erano usciti i computer e i primi rudimentali cellulari. Era affascinato dalla tecnologia. Se rivedeva mai i suoi film? No, mai».
clarissa burt massimo troisi
Quando recitava in napoletano stretto lo capiva?
«Ci ho messo un po’, ho dovuto imparare. Massimo mi “tradiva” anche le canzoni, per esempio "Malafemmena". Scusi, volevo dire mi traduceva».
Lapsus freudiano.
«Sì, ci lasciammo perché quando si sta insieme si sta in due e non in duecento. Ci lasciammo per questo».
La stessa situazione la visse con Francesco Nuti. Una donna così desiderata, come lo spiega?
«Non me lo spiego, dovete farvi qualche domanda voi uomini. Parlo di tutti gli uomini sulla faccia della Terra, non solo di quelli italiani».
Quelle di Troisi erano interpretazioni nevrotiche e piene di grazia.
«Era una napoletanità originale, mai scontata».
Carlo Verdone dice che era pigro.
«Sì, un tocco di pigrizia c’era in lui. Facevamo vita di casa, gli habitué erano l’attore Massimo Bonetti e l’autore televisivo Giovanni Benincasa».
clarissa burt massimo troisi
Il ritratto di una coppia casa e pantofole.
«Io preparavo le torte, poi era il periodo che facevo tv nel programma di Raffaella Carrà. Ma uscivamo anche. Ricordo quando vinse lo scudetto il Napoli: andammo a festeggiare in barca con tutta la squadra, Maradona conosceva i film di Massimo».
Lei lo accompagnò al Festival di Venezia?
«Sì, quando vinse la Coppa Volpi per "Che ora è" di Ettore Scola. Ci chiamarono dal festival chiedendoci di non partire. Risposi io, cominciai a saltellare sul letto, allora hai vinto! E Massimo, non dire così, per carità, mi hanno solo chiesto di restare... Era superstizioso».
Vinse ex aequo con Marcello Mastroianni.
«Adoravo la sua semplicità, se penso agli attori di oggi».
Del problema al cuore le parlava?
clarissa burt francesco nuti
«Sapevo che c’era quel problema, prendeva medicinali in maniera disciplinata, poi giocava a calcio, era una cosa che sembrava si potesse gestire, nessuno pensava che se ne sarebbe andato così presto, nemmeno lui. Quando morì ero appena tornata in America. Ripresi l’aereo e andai al funerale. Ci ho messo dieci anni per vedere il suo ultimo film, "Il postino"».
Quando arrivò in Italia?
«Nel 1983, facevo la modella, sapevo dire solo ciao e arrivederci. Vi restai per 22 anni, fino al ritorno a Phoenix, Arizona, dove vivevano i miei genitori».
Perché si presentò alle elezioni per Alleanza Nazionale?
«Solo per raggiungere il quorum, una cosa veloce, per le donne. Mi presentarono nei collegi rossi, ricordo qualche comizio, non feci quell’esperienza per essere eletta. Ma sono qui per parlare di Massimo. Eravamo come due bambini, felici di vivere una vita tranquilla».
Vi dovevate sposare, scrissero le riviste patinate.
Fa una lunga pausa. «Non lo so, non ricordo, è passato tanto tempo».
Di cosa si occupa ora?
«Ho un gruppo multimediale, si chiama Sotto i riflettori, ho una tv su una piattaforma, ci occupiamo di libri, di benessere, si insegna management. Ho una rivista digitale. Sono una imprenditrice. La mancata maternità? Ho otto nipoti che adoro».
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