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    ANCHE GLI DEI DEL RUGBY INCIAMPANO - GLI ALL BLACKS DELLA NUOVA ZELANDA SCONFITTI DALLA PICCOLA IRLANDA A CHICAGO - NON SUCCEDEVA DA 111 ANNI - LA RESPONSABILITA' ATTRIBUITA AL JET LAG. E SABATO I CAMPIONI DEL MONDO VENGONO A ROMA...


     
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    di Paolo Ricci Bitti per Il Messaggero

     

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    All Blacks battuti dall'Irlanda a Chicago: 40-29. La caduta degli Dei dopo 18 vittorie consecutive, con il più taccagno degli allibratori che pagava 10-1 quella che era ritenuta la fantascientifica vittoria dell'Irlanda che per di più dal 1905 a ieri non aveva mai e poi mai messo al tappeto la Nuova Zelanda in 28 test match, strappando al più un pareggio (10-10) nel remoto 1973.

     

    Visto che si è giocato a Chicago (nel Soldier Field Stadium con 61.300 fedeli, tanti quanti il rugby non aveva mai ammassato nella sua storia negli Usa) in molti in Italia hanno ricordato che pochi giorni fa in città i Cubs hanno vinto le World Series di baseball come non accadeva dal 1908, ma - immotivato afflato per questo sport a parte - almeno i Cubs una volta le hanno vinte quelle serie, mentre l'Irlanda proprio non ci era mai riuscita a superare gli All Blacks.

     

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    Invece l'imprevedibile più impronosticabile è accaduto: i campioni del mondo, che sabato 12 novembre innescheranno il "tutto esaurito" all'Olimpico di Roma, hanno affrontato con approssimazione l'impegno mentre l'Irlanda allenata dal neozelandese Joe Schmidt è scesa in campo con lucida ferocia. E in verità a battere gli All Blacks non è stata solo l'Irlanda orchestrata divinamente da Murray e Sexton ma anche questa bizzarra e molto remunerativa idea di disputare il primo test match del tour autunnale a Chicago per volere del potente sponsor, l'assicurazione americana Aig che campeggia sulle maglie tutte nere che fino a tre stagioni fa erano sempre restata illibate.

     

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    Considerati gli errori a dir poco banali commessi a ripetizione dai neozelandesi, sì incalzati, incalzatissimi, dagli spiritati irlandesi, ma pur sempre All Blacks, veniva da pensare agli stordimenti causati dal jet leg, a una tappa allestita con leggerezza in attesa del balzo verso la vecchia Europa. Altre volte gli All Blacks avevano sostato in nord america ma affrontando i ben più friabili americani o canadesi, appunto una sorta di riscaldamento. Per di più i neozelandesi sabato non hanno potuto schierare l'intera batteria di grossi calibri in seconda linea (Brodie Retallick e Sam Whitelock, ko anche Luke Romano) anche se poi il ct Steve Hansen, con la sua proverbiale signorilità, ha detto esplicitamente di non avere giustificazioni e che la squadra migliore ha vinto con pieno merito.

     

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    Insomma, massimo onore agli irlandesi che hanno lottato come leoni su ogni pallone e soprattutto contro la maledizione della Storia: evidentemente hanno fatto tesoro del passato prossimo, quando gettarono al vento una clamoroso opportunità. Nel loro ultimo match contro la Nuova Zelanda, nel 2103 all'Aviva di Dublino, la sirena degli 80 minuti suonò sul 22-17 per i verdi. Ma la palla era nelle manone di McCaw e compagni che, infilando fasi su fasi, almeno 22, centimetro dopo centimetro, come predicava Al Pacino in Ogni maledetta domenica, risalirono il campo segnando al secondo minuto di recupero la meta del pareggio e quindi la trasformazione  della vittoria, quattordicesimo successo della stagione su 14 partite, la perfezione.

     

    E anche a Chicago doveva finire così, nonostante la presenza sugli spalti di ancora più irlandesi di quanti ne possa accogliere l'Aviva di Lasdowne Road. Nonostante l'affronto che certo senza malizia gli organizzatori avevano riservato all'inno irlandese Shoulder to shoulder (un unico inno per Irlanda e Irlanda del Nord, solo nel rugby) eseguito da un singolo violinista: struggente quanto vi pare, ma impossibile da accompagnare con il tradizionale e poderoso coro. Nonostante una Kapa o Pango inscenata a triangolo con massiccia determinazione.

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    Eppure dev'essere in questo momento che gli irlandesi hanno iniziato a costruire la vittoria più importante della loro epopea: i verdi hanno formato in campo un otto, proprio di fronte agli All Blacks che stavano urlando la danza di guerra. Un numero che era lo stesso della maglia dell'allenatore del Munster Anthony Foley, 62 caps per l'Irlanda, oltre 200 per il Munster, che è morto poche settimane fa in hotel a 42 anni a poche ore di un match di coppa contro il Racing 92 di Parigi.

     

    Di maniere per fronteggiare la haka degli All Blacks i rivali ne hanno ideate tante (la più disastrosa e altrettanto fuori luogo fu quella dell'Italiani ai mondiali 2007 a Marsiglia, con gli azzurri chiusi in cerchio a snobbare gli avversari), ma questo opporre il fiero ricordo di uno di loro alla bellicosità neozelandese ha dato evidentemente i suoi frutti. Nel rugby poi le storie familiari si intrecciano sempre fino a commuoverti: l'Irlanda in 111 anni non aveva mai battuto gli All Blacks ma l'exploit nel 1978 era riuscito al Munster (12-0) in un match del mercoledì a cui prese parte Brendan Foley, il padre di Anthony.

     

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    Eppure anche all'inizio della ripresa, con i tutti neri sotto 25-8 (3 mete a una), fotografia nitida del tanto costruito dagli irlandesi e del poco pasticciato dagli irriconoscibili detentori del record di 18 vittorie consecutive, non c'era da credere nell'impresa delle imprese: tanto si sa che nel finale lo strapotere fisico e tecnico degli All Blacks ribalta sempre ogni situazione a rischio. Situazione a rischio che - a essere onesti - i tutti neri del ct Hansen conoscono poco perché dai Mondiali del 2015 non hanno fatto che annichilire tutti gli avversari: gallesi, sudafricani, argentino e australiani sbattuti come polverso tappeti.

     

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    Chissà, si diceva, solo la superpotenzia di Ovalia, i Lions, potrà impensierire questi fenomeni l'anno prossimo: fino al 2017 chi mai potrà imporsi su questi demoni? E così a Chicago e in tv si attendeva solo il cambio dell'inerzia del match che in effetti è arrivato perchè i nezoalendesi si sono portati, meta dopo meta nella ripresa, sotto di soli quattro punti: 33-29, con un quarto d'ora abbandante ancora da giocare. Ecco che con un'altra piccola meta tutto torna nei ranghi e tante grazie all'Irlanda per aver intrattenuto le loro maestà un poco più del solito.

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    Macché, l'ora del destino stava davvero suonando a Chicago: a 4 minuti dal termine è stato l'irlandese Henshaw a segnare chiudendo il match sotto gli occhi increduli di Kieran Read e compagni. Increduli, questa è definizione più azzeccata. Con tanti ringraziamenti da parte di tutto il mondo del rugby all'Irlanda che ha riportato sulla terra le stelle ridando un senso alle sfide con i migliori che tali. sia chiaro, restano.

     

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    Beh, riassumento gli irlandesi hanno battuto per la prima volta gli All Blacks che sabato a Roma sbarcano per la prima volta in Europa dopo i fasti del Mondiali 2015 per giocare contro l'Italia allenata per la prima volta da un irlandese (Conor O'Shea). Peccato che anche nella quarta dimensione non esista qualche proprietà della matematica che dia un senso - azzurro - a questa concatenazione.

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