Eugenio Occorsio per “Affari & Finanza - la Repubblica”
Quando sei da 15 anni al timone della banca più capitalizzata d' America con 433,5 miliardi di dollari in asset (come le prime dieci banche europee messe insieme), quando hai appena chiuso un esercizio - quello 2019 - con 36,4 miliardi di utile netto vale a dire il miglior risultato della storia, e hai realizzato un aumento del valore di Borsa del 35% in dodici mesi, puoi permetterti di gigioneggiare un po'.
JAMIE DIMON
«Il mio pensionamento? Ne parliamo fra cinque anni», ha detto Jamie Dimon, ceo di Jp Morgan la settimana scorsa dalle nevi di Davos all' intervistatrice di Cnbc. Ma veramente - ha osato interloquire la giornalista - lei ha dato questa stessa risposta l' anno scorso, e anche l' anno prima e l' anno prima ancora. «E chissà che non la dia anche l' anno prossimo».
Fine dell' intervista. Ed ennesima conferma del potere del banchiere più temuto del pianeta, che si manifesta anche nel rendere possibile, sul modello Putin, la continuazione infinita dello stesso: se ci saranno da fare modifiche allo statuto per la proroga, è perfettamente in grado di farle. Intanto continua ad aumentare esponenzialmente i suoi guadagni: erano stati 31 milioni di dollari nel 2018, presumibilmente saranno diventati ancora di più nel 2019. Non stupisce che Dimon sia il banchiere più ricco del mondo, con 1,7 miliardi di fortuna personale per Forbes.
jamie dimon jpmorgan
È sicuramente bravo - ha migliorato del 31% gli utili da trading di bond nel 2019 dei tassi a zero - ma è anche la quintessenza del "banchiere di relazioni" American style. Sempre al posto giusto, sponsor dei party più esclusivi dal Metropolitan Museum fino allo stesso Davos, dove si ricorda ancora una festa che diede insieme a Tony Blair nel 2006 al Kirchner Museum che fu l' apoteosi del politically correct multipartisan, da Bono a Soros. In politica sfoggia virtù camaleontiche: finanziatore del partito democratico, nella presidenza Obama era l' unico banchiere ad avere libero accesso alla Casa Bianca dopo aver declinato l' offerta di fare il ministro del Tesoro per evidenti incompatibilità di stipendio.
Trump gli ha fatto analoghe avance, e visto il suo reiterato diniego l' ha messo a capo del suo consiglio di business advisor. Nato a New York nel 1956 (la bio sul sito della JP Morgan annota puntigliosamente ogni particolare: "È alto 1,77 metri e al 24 gennaio 2020 pesa 75 chili"), è figlio di emigranti greci ma non è un self made man: il nonno, che si era fatto cambiare il cognome da Papademetriou a Dimon perché suonava più internazionale, era un banchiere ad Atene, il padre dopo il trasferimento negli Usa divenne vice president all' American Express.
judy and jamie dimon
Proprio il padre, mentre studiava per il master in business administration ad Harvard, lo presentò a metà degli anni '80 a Sandy Weill, il banchiere più potente del momento, che aveva trasformato l' Amex in una fortezza finanziaria e ne era il ceo. Weill intuì le doti del ragazzo, gli fece da mentore e lo volle con sé nella scalata che portò alla fusione Amex-Citibank con la creazione del gigante Citigroup. Poi successe qualcosa, probabilmente per motivi non strettamente professionali: dopo uno di quei weekend di team building tanto in voga a Wall Street, nel 1988, Dimon uscì dal gruppo sbattendo la porta. Solo nel 2005, in un fireplace chat alla Chicago Business School, svelò la verità: Weill lo aveva licenziato.
Il nuovo inizio però sarà epocale.
Dopo un anno e mezzo di disoccupazione, nel 2000, Dimon entra quale ceo alla Bank One: quando la Jp Morgan rileva la Bank One nel 2004, Dimon diventa direttore generale del nuovo gruppo, e dopo neanche un anno è nominato ceo. È l' unico banchiere a sopravvivere alla mattanza dei subprime che si scatena nel 2008, anzi viene sospettato di insider trading per essersi sbarazzato tempestivamente di un ingente pacchetto di titoli tossici al punto che la sua banca è l' unica a uscirne con le ossa sane (e lui era l' unico banchiere a far parte del board della Fed di New York).
jamie dimon
Sospetti in qualche modo fugati. Quando l' amministrazione americana nel 2009 mette a disposizione delle banche il provvidenziale pacchetto di 900 miliardi di dollari del Tarp ( Troubled asset relief program), lui inizialmente non ne vuol sapere ma viene praticamente obbligato da Obama ad accettare la sua quota di 25 miliardi. «La userò per fare nuove acquisizioni », annuncia orgoglioso. Così avviene, ed è allora che la Jp Morgan diventa la banca più grande d' America e lui si guadagna il titolo di "inventore della megabanca" che ancora gli resta affibbiato. I 25, inutile dirlo, li restituisce in pochi mesi.
Ma la vera prova è in agguato: a fine 2011, lo scandalo della "balena bianca" londinese, un incauto trader che accumula un' esposizione monstre in Cds sui Paesi europei in crisi che è poi costretto a vendere sottocosto (perché l' euro non è crollato) occultando finché possibile le perdite, costa alla banca 6,2 miliardi.
jamie dimon jp morgan
Dimon dopo aver licenziato il trader e il capo dell' ufficio di Londra, si prende tutta la responsabilità: il suo bonus per il 2012 viene azzerato, la Sec gli appioppia una multa di 950 milioni, più le class action degli azionisti. Per lo stress lui fuma come un matto e gli viene un tumore alla gola, che domerà con sei settimane micidiali di chiemioterapia. Ma ormai è tutto dimenticato, e da allora i trionfi sono tornati a susseguirsi. Si può ripartire per Davos.
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