ANTONIO GOZZINI
Incapace di intendere e volere per i giudici di primo grado e anche per quelli d'appello. Che hanno confermato che Antonio Gozzini, bresciano di 81 anni, è affetto dal delirio di gelosia, patologia che nell'ottobre del 2019 lo aveva portato ad uccidere a Brescia la moglie Cristina Maioli, insegnante in pensione ammazzata a coltellate dopo essere stata colpita con un mattarello.
Il marito aveva poi vegliato in casa il cadavere per ore prima di chiamare un'amica di famiglia e spiegare quanto aveva commesso. In primo grado venne chiesta la condanna all'ergastolo, oggi in appello la richiesta si è fermata a 21 anni di carcere. Ma l'epilogo è stato lo stesso, oggi come a dicembre 2020: l'assoluzione dell'imputato per infermità mentale.
CRISTINA MAIOLI
Nel corso del processo di primo grado i consulenti dell'accusa e della difesa avevano concordato sull'incapacità di intendere e volere dell'uomo, ma il pm chiese comunque l'ergastolo arrivando a dire che «il rischio è che passi il messaggio che qualsiasi uomo geloso può essere giustificato».
La decisione del presidente della Corte d'Assise Roberto Spanò di assolvere l'imputato riconoscendo il delirio di gelosia, ma disponendo il trasferimento di Gozzini in una Rems perché socialmente pericoloso, era diventata un caso nazionale. Con l'annuncio di un'ispezione da parte del ministero della Giustizia, con prese di posizione di associazioni femministe e anche di alcuni parlamentari.
OMICIDIO CRISTINA MAIOLI
Il tribunale di Brescia fu costretto addirittura ad anticipare parte delle motivazioni per far capire che non si parlava di una persona gelosa, ma di una persona affetta da una patologia.
«Appare necessario tenere doverosamente distinti i profili del 'movente di gelosià, ben noto alla Corte di Assise di Brescia che proprio in ragione di tale concezione distorta del rapporto di coppia nel recente passato ha irrogato in due occasioni la pena dell'ergastolo, dal 'delirio di gelosià, quale situazione patologica da cui consegue una radicale disconnessione dalla realtà», scrisse la Corte. Poi arrivarono le motivazioni in 28 pagine.
OMICIDIO CRISTINA MAIOLI 2
«Si tratta di un verdetto assolutorio con il quale la Corte non intende certo riservare al Gozzini un salvacondotto o un trattamento indulgente a fronte della perpetrazione di un'azione orribile, ma semplicemente tener conto di un elementare principio di civiltà giuridica, quello secondo cui non può esservi punizione laddove l'infermità mentale abbia obnubilato nell'autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento», scrisse il presidente della Corte d'Assise Roberto Spanò.
Una tesi evidentemente accolta anche dai giudici d'appello che hanno confermato il primo verdetto nonostante il procuratore generale Guido Rispoli avesse chiesto la condanna a 21 anni di carcere per Gozzini sostenendo che «la sua gelosia patologica non era mai emersa prima dell'omicidio. Se n'è parlato solo a posteriori, solo nel tentativo di trovare una causa di non punibilità».
OMICIDIO CRISTINA MAIOLI
Lo stesso procuratore generale, dopo la sentenza d'appello che ha confermato il primo grado, si è limitato a dire: «Leggeremo le motivazioni». Soddisfatto l'avvocato Jacopo Barzellotti, difensore dell'81enne imputato che ne aveva chiesto l'assoluzione. «La sentenza è giusta», ha commentato. «Anche perché - ha aggiunto - il movente indicato dall'accusa è totalmente destituito di fondamento. Gozzini avrebbe ucciso la moglie perché non voleva essere ricoverato e sottoposto alle cure necessarie per la sua depressione. Ma emerge dagli atti - ha detto l'avvocato - non solo che Gozzini fosse d'accordo, ma anche pronto al ricovero».