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    “MARIO MARENCO? UN UMORISTA GENIALE. NON HA AVUTO IL SUCCESSO CHE MERITAVA PERCHÉ ERA TROPPO INDISCIPLINATO” – IL RICORDO DI RENZO ARBORE: “AVREBBE POTUTO DIVENTARE ANCHE UN GRANDE DESIGNER. INVENTO’ UN OCCHIALE BEAT E UN DIVANO CON UN SISTEMA RIVOLUZIONARIO A CUSCINI – LA STORIA CON LAURA ANTONELLI, LA GALLERIA DI PERSONAGGI MEMORABILI (DAL COLONNELLO BUTTIGLIONE A RICCARDINO) E QUELLA VOLTA CHE FECE DIVENTARE PAZZO FELLINI... – VIDEO


     
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    Marco Molendini per il Messaggero

     

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    IL RITRATTO Il vizio del paradosso, fino all' ultimo. La settimana scorsa, quando Renzo Arbore è andato a trovarlo al Gemelli, Mario Marenco lo ha accolto con la sua voce arrotata, l' aria incosciente di sempre, il tono spiritoso, come fosse ancora ai tempi di Alto gradimento: «Ho subìto una catastrofe». Impossibile, anche nella tragedia, non sorridere. Ma Mario, da quella catastrofe, non è più uscito: una caduta, la rottura del femore, una crisi polmonare, la rianimazione. Se ne è andato a 85 anni, genio incompiuto dell' umorismo, perché non aveva nessuna intenzione di essere compiuto.

     

    IL PROVINO Mario era Mario, poeta sbilenco, comico astratto, architetto di talento. Era rimasto Mario anche quando lo chiamò Fellini per La città delle donne: il Maestro aveva pensato a lui come protagonista, prima di ricorrere a Mastroianni. Gli fece un provino ma si arrese quando, alla richiesta di ripetere una battuta, Marenco gli rispose: «Devo fare il pappagallo?».

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    Naturalmente non lo fece. Sul set lo aveva accompagnato Arbore, assieme a Mariangela Melato: «Avevo consigliato a Fellini di usare la nostra tecnica, mia e di Boncompagni a Alto gradimento, cioè chiedergli il contrario di quello che voleva.

     

    Ma poi Federico mi chiamò: Non ce la faccio disse disperato». Impossibile domare Marenco. «Ma guidarlo era meraviglioso» ricorda Renzo, andando con la memoria a quella bizzarra galleria di personaggi surreali. «Facevamo una fatica bestiale a rendere razionali le sue invenzioni irrazionali, come quando si inventò la telescrivente umana o Il completo, una sorta di infinita enciclopedia universale. Ma poi ridevamo fino al mal di pancia».

     

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    STOCCOLMA Foggiano come l' amico Arbore (foggiano per caso a causa del trasferimento del padre, colonnello della finanza), aveva incrociato Boncompagni in Svezia, dov' era andato dopo aver preso la laurea in architettura. Un giorno si trovarono a fare da guida a Salvatore Quasimodo, arrivato per ritirare il Nobel. Lo scorrazzarono per Stoccolma, nei, musei nelle piazze più belle.Talmente noioso che, a un certo punto, il poeta sbottò: «Ma accà fimmine niente?»

     

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    IL COLLEGA Renzo lo frequentò a Roma, nel periodo in cui viveva in un palazzo dove «nel sottoscala c' era Mal dei Primitives, al secondo piano Edwige Fenech e sullo stesso pianerottolo Laura Antonelli, fidanzata con Marenco». Quando partì Alto gradimento, nel 1970, Mario insieme con Giorgio Bracardi rappresentava l' irresistibile lato illogico del programma. Inventore di una folla di personaggi: il colonnello Buttiglione (come un collega del padre ai tempi di Foggia), la Sgarambona, il professor Aristogitone, il barone della medicina specializzato in brufologia Anemo Carloni, Raimundo Navarro improbabile astronauta spagnolo. E ancora autore di fantastiche poesie, esercizio assoluto dell' assurdo.

     

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    Un Helzappoppin' radiofonico che, in qualche modo, Renzo utilizzò nel trasloco tv: nell' Altra domenica, con Marenco, diventato Mr Ramengo, che si esercitava nelle sue esilaranti cronache dal Palazzo, o corrispondente che «faceva il reportage ricorda Arbore - sul ritrovamento della mano mozza di Muzio Scevola nel Tevere», e a Indietro tutta con Riccardino, lo scolaretto ineffabile corteggiatore delle Coccodè.

     

    IL DIVANO Non poteva non restare legato a quei personaggi Mario. Se ne va incompiuto, vittima e padrone del proprio talento naturale, impossibile da ingabbiare, per questo incapace di raccogliere in pieno il frutto del suo estro.

    «Avrebbe potuto diventare anche un grande designer - sostiene Arbore -. Ha inventato un occhiale beat e un divano con un sistema rivoluzionario a cuscini.

    Non ha avuto il tributo che avrebbe meritato perché troppo indisciplinato».

     

    Ma forse, proprio per questo, è stato inimitabile con la sua forsennata collezione di «personaggi e spunti che inventava come diceva per sfregio. Ma non erano parodie, erano surreali creazioni della sua fantasia indomabile. È stato unico nel panorama mondiale, lo dico da tecnico» dice Arbore, che lo ha voluto anche nei suoi due film Il Pap' occhio e FFSS.

     

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    I MEDICI Negli ultimi anni continuava a fare l' architetto, ma sempre con la sua mentalità. Ogni tanto, però, rispolverava il passato: «Anni fa ricorda Renzo - a un congresso vidi i medici ridere alla lacrime mentre faceva Anemo Carloni». Il professore protagonista dell' angolo scientifico di Alto gradimento che descriveva così il corpo femminile «diverso da quello maschile perché smunito di pungiglione o pennacchiotto».

     

     

    2. RENZO ARBORE "UN GENIO ASSURDO, NEMMENO FELLINI RIUSCÌ A DOMARLO"

     

    Silvia Fumarola per ''la Repubblica''

     

     

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    Renzo Arbore alterna pianto e grandi risate: «Conoscevo Mario da una vita, sessant' anni di amicizia. Da Foggia a Napoli, il padre era colonnello della Guardia di Finanza, per questo si era inventato il colonnello Buttiglione. Era un umorista geniale. Facevamo scherzi assurdi, aveva fatto diventare pazzo anche Fellini».

     

    Andiamo con ordine.

    « Era troppo modesto. Oggi bisogna vendersi e Mario rifuggiva da tutto questo. Era un cavallo pazzo. Per me, Boncompagni e Frassica era il più grande, un vero intellettuale.

    All' Altra domenica, quando si congedava con quel saluto, "Waldheim", il nome di un politico austriaco. Poi le corrispondenze matte dal Tevere, quando spiegava che era stato ritrovato il moncherino di Muzio Scevola».

     

    Come nascevano i personaggi?

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    «Aveva conosciuto una fauna meravigliosa, le segretarie lombarde quando andava a proporre i suoi oggetti di design. Aveva tante fisime, l' idiosincrasia per gli autogrill, perché doveva fare un percorso obbligato per uscire.

     

    "Purtroppo sono dovuto entrare in autogrill", mi raccontava "Ma ho fatto il giro al contrario". Molti personaggi nascevano da scherzi notturni, chiamavamo l' Osservatorio astronomico e cominciava la descrizione di un lampadario che oscillava. Quei poveretti non capivano: ma come?, dove? Poi fece uno storico provino con Fellini».

     

    Racconti.

    «Fellini lo chiamava "Marietto", gli dava appuntamento al bar Canova. Mario non si spiegava perché. Lo studiava perché lo voleva ne La città delle donne . Poi lo convocò al provino, Mario lo fece diventare pazzo. Federico mi chiamò: "Ma io che devo fare con questo?". Gli spiegai: "Devi dirgli il contrario di quello che vuoi". Mi richiamò: "Non ce la faccio a domare Marenco"».

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    Era creativo e svagatissimo.

    «Sì, ma sfiorava la genialità. Quando gli chiedevo: "Perché lavori con noi invece di fare l' architetto?", rispondeva: "Per sfregio"».

    In effetti non è facile capire come conciliasse la professione con la comicità.

    «Pregiudicava i rapporti con le aziende, inventò il famoso divano fatto di soli cuscini, il Marenco, poi imitatissimo. Ma ne faceva di tutti i colori, ogni tanto dovevamo salvarlo. Nei Paesi arabi si portò l' alcol per il gusto dello scherzo. Non beveva nemmeno».

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