Malcom Pagani per ‘Il Messaggero’
miriam leone
La voce di Aldo Biscardi, il suo italiano di frontiera: Mi dicono che abbiamo in linea il Presidende. Silvio Berlusconi, ancora ignaro dei processi che verranno, interviene in diretta a quello del lunedì gridando all'intollerabile «mistificazione» come tante altre volte farà poi nel corso degli anni navigando tra i marosi mediatici sollevati da Santoro e Lerner. Prima del 1993- dice Berlusconi stesso nell'omonima serie figlia di 1992 in onda dal 16 maggio con la produzione originale di Sky e Wildside per la regia di Gagliardi- gli avversari sono quasi esclusivamente calcistici: «Il mio nemico si chiama Olympique Marsiglia».
1993 stefano accorsi
RAPHAEL
Ma dopo, quando le monetine avranno già scalfito la fiancata dell'auto blu di Craxi in virile fuga dal Raphael: «Lo facciamo uscire dal retro?» chiede il dirigente di Publitalia Accorsi all'amico Silvio: «Che cazzo dici?- È la risposta- Un vero uomo esce a testa alta» e il sistema scosso da Tangentopoli imploderà per ricostituirsi nel segno del nuovo Messia precipitato da Arcore a Montecitorio, i soldati dell'altro esercito non vestiranno più le rassicuranti fogge dei pallonari, ma quelle «dei nipotini di Stalin» lanciati con il Pds alla conquista del Governo del Paese.
Nelle prime due puntate di 1993, la genesi della discesa in campo è descritta al ritmo febbrile dell'Italia di allora in una circolarità di aspirazioni che trasfigura guardie e ladri e li rende quasi speculari e reciprocamente indispensabili a orientare il corso della storia. Da un lato il Pool di Milano animato da un ambiguo Antonio Di Pietro all'inseguimento della maxitangente Enimont: «È la chiave, se la troviamo pigliamo tutti i partiti in un colpo solo, a sto punto è noi o loro».
1993 il cappio dei leghisti
Dall'altro le chiese politiche del giorno prima, platealmente sotto choc: «Craxi è finito- sottolinea Berlusconi mentre va a porgere solidarietà a favore di telecamera- da adesso è tutti contro tutti». In mezzo gli italiani, imbestialiti, così vicini e così lontani agli italiani di oggi, inclini alla reazione semplificatoria e istintiva, al qualunquismo, al sogno di una resurrezione in cui l'unico a camminare con il passo di Lazzaro- almeno per una lunga stagione- sarà proprio Berlusconi.
SCENEGGIATURA SOLIDA
Tra i pregi di 1993 (scritto da tre sceneggiatori di talento, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo e Alessandro Fabbri) c'è quello di farci interrogare sulla relativa evoluzione del contesto (siamo rimasti ad allora? Siamo messi addirittura peggio?), di ricordarci quanto fosse vasto, diffuso e in fin dei conti inutile l'esorcismo collettivo, di evitare il temibile macchiettismo e di mettere allo specchio torti e ragioni con un riflesso narrativo- accade nel cinema che non impernia nessi e basi sulle tesi precostituite- in cui nessuno possa sentirsi messo davvero in buona luce o considerarsi innocente a priori.
1993
Con una maggiore oscurità di fondo e una più netta durezza di intenti rispetto alla prima stagione (il re è nudo, le opzioni sul tavolo per i personaggi meno numerose, la clessidra corre e il bivio tra la strada giusta o il burrone in cui cadere senza possibilità di riemergere, mimetico e a tratti invisibile) 1993 convince nel riproporre un quadro d'epoca simile a quello proiettato dalla nostra memoria individuale. L'affresco tiene insieme i frammenti diseguali di un quarto di secolo fa e nel disporli sulla tela- con l'eccezione della licenza poetica e del racconto che deve forzare i limiti della messa in scena per far procedere la narrazione- non fa torto a nessuna madeleine del tempo.
1993 serie sky
Ci sono i balletti di Pingitore, le ragazze (Miriam Leone, bravissima) che sognano di andare in tv da Costanzo come nel coevo Mutande pazze di Roberto D'Agostino e nell'attesa, infine premiata, si accontentano della notte catodica animata da Gigi Marzullo, i cappi agitati dai leghisti in Parlamento, il caso De Lorenzo- Poggiolini, la bomba in Via Fauro, persino un flashback di Massimo D'Alema virato seppia che sotto i portici di Via Zamboni, a Bologna nel 1977, indulge al celebre «diciamo» e tratta con i ragazzi del Movimento tentando di avvertirli sui rischi del velleitarismo.
miriam leone tea falco
Gli adulti eredi del Pci, 15 anni più tardi, sono disegnati e percepiti dagli elettori che poi nel voto del Marzo 1994 li puniranno come cascami del passato, alla stregua di polverosi discendenti una tradizione così altera e così sicura della propria superiorità morale da non accorgersi della rivoluzione in atto.
Una rovesciamento di immagine più che di sostanza perché da allora in avanti, conterà soltanto l'immagine. L'Italia vuole l'uomo nuovo e l'uomo nuovo è lì, sul palco di una convention, pronto a essere incoronato a suon di magnifiche sorti progressive sbandierate in ogni dove e, come pretende l'intima natura del personaggio, sciorinando barzellette in cui il dottore parla di sé in terza persona: «Silvio Berlusconi cammina su una banchina insieme al Papa, il Santo Padre inciampa, perde il breviario e quello cade in acqua. Berlusconi, sollecito, cammina sull'acqua, acciuffa il breviario e lo riconsegna al Pontefice. Titoli univoci di Repubblica, L'Unità e L'Espresso: «Berlusconi non sa nuotare». Imparerà a farlo- se ne accorgeranno tutti- anche e soprattutto in mezzo alla burrasca.
cast e crew di 1993