Marcello Parilli per il “Corriere della Sera”
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Il piede batte il tempo, il corpo scivola pian piano nel ritmo e la voce comincia ad accennare un ritornello, magari senza preoccuparsi troppo del significato delle parole. Ma al di là di un'esperienza epidermica e gratificante, cosa sappiamo davvero di quei musicisti e cantanti che da un palco o con un disco ci offrono queste innocenti evasioni? Spesso poco o nulla, anche se basterebbe bazzicare biografie e documentari (ce ne sono di bellissimi) per capire cosa c'è dietro il trucco di scena e oltre quel pesante sipario che troppo spesso nasconde il senso di una canzone o di un album.
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Cosa succede però quando si scopre che quel tizio con la chitarra o quella tipa al pianoforte (come Leonard Cohen, Joni Mitchell, Miles Davis o Franco Battiato) ci sanno davvero fare anche con libri, matite, macchine fotografiche e pennelli ?
Una mostra curata da Shai Baitel, in arrivo al MAXXI di Roma (dove resterà dal 16 dicembre al 30 aprile) rappresenta perfettamente questo senso di straniamento. «Bob Dylan. Retrospectrum» dopo Shanghai e Miami approda ora in Europa per raccontare come l'81enne cantautore sia molto più di un musicista dal successo planetario.
Molti ricorderanno come nel 2016 la grande qualità dei suoi testi sia stata premiata con il massimo riconoscimento, il Nobel per la letteratura.
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Ma «Retrospectrum» porta alla luce altri due talenti del poeta di Duluth, la pittura e la scultura, che qui vengono rappresentati da oltre 100 opere tra dipinti a olio, acrilici, acquerelli, disegni a inchiostro, pastello, grafite e carboncino, fino a materiale video e a una serie di sculture in ferro.
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Tutto selezionato da un'attività creativa che in oltre 60 anni ha attraversato trasformazioni stilistiche anche significative. «Bob Dylan è un mito assoluto, un'icona culturale tra le più importanti del nostro tempo. Con questa mostra, avremo il privilegio di scoprire un aspetto inedito del suo talento inesauribile: i suoi dipinti, come le sue canzoni, sono potenti, sinceri, immediati, evocano cammini e suggestioni on the road - dice Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI -. Dylan è un pezzo della nostra storia e una parte di noi, Per questo sono particolarmente lieta di questa mostra al MAXXI che lo racconta nella sua interezza e ci racconta».
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Intorno all'eclettica attività artistica di Dylan, scoperta relativamente tardi (la prima esposizione si è tenuta nel 2007 a Chemnitz, in Germania) girano da sempre informazioni poco certe e quasi leggendarie, come il fatto che il vecchio Bob, nelle notti post concerto, giri la città di turno armato di Nikon digitale a caccia di spunti da trasferire poi su tela.
O che nella nativa Duluth (cittadina del minerario Minnesota) possieda una sorta di bottega da fabbro dove si diverte ad assemblare con la fiamma ossidrica sbarre, chiavi, ingranaggi, catene, tubi, chiave inglesi in sculture di cui a Roma sarà possibile ammirare diversi esemplari (un suo cancello sarebbe stato acquistato da Bill Clinton).
Con Roma Bob Dylan ha avuto una periodica frequentazione, lasciando qualche traccia anche nei suoi testi, come la citazione della scalinata di Piazza di Spagna nel brano «When I Paint my Masterpiece» del 1971.
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Oggi, parlando della mostra romana, presentata al pubblico in una versione completamente ripensata per interagire con gli spazi dinamici e avveniristici del museo progettato da Zaha Hadid, ci chiarisce anche la sua filosofia creativa: «È molto gratificante sapere che le mie opere visive saranno esposte al MAXXI, a Roma: un museo davvero speciale in una delle città più belle e stimolanti del mondo. Questa mostra vuole offrire punti di vista diversi, che esaminano la condizione umana ed esplorano quei misteri della vita che continuano a lasciarci perplessi. È molto diversa dalla mia musica, naturalmente, ma ha lo stesso intento».
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