GERMANO CELANT
colloquio con Germano Celant di Alessandra Mammì pubblicato da l’Espresso
Post Zang Tumb Tuum. Come lo scoppio di un motore parte alla Fondazione Prada la macchina del tempo e ci immerge nella bellezza italica tra il 1918 e il 1943, dalla fine della Grande Guerra alla fine del Ventennio fascista. Non è esattamente una mostra ma un tuffo nel passato, nella storia, e in quel rapporto fra arte, potere e propaganda che segnò la prima parte del Novecento e che è tornato a suscitare grande interesse in questo 2018:
la Gam Torino mette in scena una riflessione sul comunista Renato Guttuso, mentre Bologna al Mambo sta per chiudere una trionfale rassegna delle rivoluzioni russe e sovietiche e dal 16 marzo a Firenze in Palazzo Strozzi inizia un viaggio tra arte e politica dagli anni Cinquanta al Sessantotto con emblematico titolo, "Nascita di una nazione", scelto dal curatore Luca Massimo Barbero. Ma la radicalità del "Post Zang Tumb Tuum" orchestrato da Germano Celant per la Fondazione Prada (nella sede di Milano, fino al 25 giugno) è ineguagliabile.
Art Life Politics, Italia 1918-1943 - Marinetti 8
Filologica ricostruzione di Biennali, Quadriennali, Esposizioni coloniali, sindacali fasciste, gallerie private, atelier d' artisti, case di collezionisti e critici. Una "mise en scène" che nasce da centinaia di foto: per oltre due anni una squadra di giovani storici è stata sguinzagliata in tutta Italia a ripescare documenti e fonti. Ed ecco, tra un Depero nel suo studio, un Goebbels che ride di fronte alla scultura di Martini, una Sarfatti dagli occhi spiritati, nasce l' installazione della mostra che riesce a resuscitare gli antichi allestimenti.
Molti capolavori ritrovano il loro esatto posto accanto a quadri magari meno noti, libri, progetti, poster, arredi. Ogni opera si ricongiunge al suo contesto e svela la sua obbedienza alla visione mussoliniana del mondo, della cultura, delle arti. E arrivano pensieri e domande.
Perché il fascismo aveva così a cuore alcuni artisti? E come mai oggi, dove invece è il mercato e non la politica a dettar legge, ci interessa così tanto quel fusionale rapporto fra arte e propaganda? La parola al curatore.
Art Life Politics, Italia 1918-1943 Sironi
Quel che più colpisce in questa sua mostra, Germano Celant, è l' assoluta coincidenza fra progetto politico e cultura artistica. E la scarsa coscienza democratica degli artisti.
Davvero pochi si ribellarono al fascismo
«Costruire una mostra partendo dai documenti significa capire il contesto in cui gli artisti si muovono. È esattamente il contrario di una scelta curatoriale che punta a mettere insieme delle opere come figurine in un saggio, illustrazioni di un' idea critica. Qui, se vogliamo, la figura del curatore scompare e al suo posto parlano le fonti, le quali ci dicono che in quegli anni di regime molti artisti si adattarono al potere ma difesero la loro autonomia linguistica, pur restando indifferenti alla sua strumentalizzazione. Come a dire "il potere passa, l' arte rimane". Pittori come Sironi o scultori come Martini non ebbero però cedimenti sulla ricerca e su questo furono sostenuti da un collezionismo colto e alto borghese, mentre non possiamo dimenticare che il ministro della cultura si chiamava Bottai e il suo assistente Giulio Carlo Argan. Non siamo insomma di fronte a una involuzione reazionaria come per l' arte sotto il nazismo o agli esiti demagogici di un certo realismo sovietico».
Art Life Politics, Italia
Ma come spiega questo ritrovato interesse dell' Italia per la storia artistica del suo primo Novecento?
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«Da tempo nel mondo c' è una diversa attenzione sull' arte italiana. L' Europa in particolare ha molto rivalutato il Futurismo rispetto al Cubismo che ora appare formalista, mentre il movimento di Marinetti è plurilinguista, interdisciplinare, più vicino a una sensibilità contemporanea. La globalizzazione ha messo in crisi l' egemonia anglosassone e il duopolio America/Europa. Siamo più interessati alle storie locali ma proprio per questo abbiamo bisogno di cambiare il nostro approccio teorico e tornare a confrontarci con le fonti e con la storia. Il contesto diventa necessario altrimenti come capire, ad esempio, l' arte della Nigeria? Considerare il singolo manufatto come un relitto trovato nel mare è inutile nonché politicamente scorretto. L' ancoraggio alla storia e alle storie diventa necessario».
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Giulio Carlo Argan
Resta il fatto che negli ultimi vent' anni si è stretto un rapporto di potere fra arte e mercato e non più fra arte e politica, la quale appare piuttosto indifferente alla ricerca visiva
«Ci sono parecchie considerazioni da fare in proposito. La prima è che l' arte del ventennio fu supportata da una borghesia industriale che aveva capito quanto fossero importanti gli artisti per entrare in un mercato internazionale. Come ben si vede in mostra attraverso il design e l' architettura.
La seconda è che questi artisti non lavoravano pensando alle case borghesi. Le pesanti sculture di Martini, le grandi decorazioni di Sironi, gli arazzi di Depero in quanto oggetti ingombranti inamovibili o invadenti nelle forme e nei colori avrebbero fatto esplodere gli interni borghesi dell' epoca. Loro progettavano pensando a spazi pubblici e alla comunicazione di massa.
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Oggi invece la produzione è educata e formale, pensata per case di ricchi e muri bianchi, fuori da un contesto storico, senza alcun desiderio di rompere le grammatiche o comunicare messaggi. Ha vinto la decorazione e la quotazione, mentre il fronte di rottura per gli artisti si è spostato più nell' allargamento al mondo del cinema o di altre forme di ricerca visiva che sfuggano a questa integrazione potente, che non ha più bersagli con cui confrontarsi».
In questa ricostruzione filologica di un universo fascista non avete avuto paura di rischiare una forma di apologia?
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«Ovviamente sì. Per questo nella parte che riguarda la "Mostra della Rivoluzione Fascista" del 1932 abbiamo voluto evitare modellini, ricostruzioni, messe in scena. Così come avremmo voluto più materiale sugli artisti dissidenti come Carlo Levi Corrado Cagli, Giuseppe Antonio Borgese, ma per ovvi motivi di censura e di clandestinità le testimonianze sono molto rare».
Sarebbe possibile estendere questo rigoroso metodo per raccontare i nostri giorni?
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«Sì. Ma il racconto si sposterebbe in territori e paesi dove ancora il rapporto fra l' arte e la storia si esprime in termini di conflittualità. Temo che nell' attuale arte europea e americana prevalga più la decorazione che il confronto con la Storia».
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