http://www.dailymotion.com/video/x7ygpc_vito-acconci-seedbed-1972_creation
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Barbara Costa per Dagospia
“Lo sto facendo con te, ehi, mi senti? Vieni qui, girati. Ecco, brava, così. Sei quello che voglio. Mi stai eccitando…”. C’è un uomo che ti parla sotto il pavimento. Gli stai camminando sopra. Si muove con te, ti segue, segue i tuoi passi. Tu non lo vedi, ma lo “senti”. Senti che striscia là sotto. Senti la sua voce, i suoi richiami, il suo respiro che si fa sempre più affannoso, i suoi mugolii, i lamenti di piacere che si fanno via via più pesanti, più forti, più vicini… per esplodere in un orgasmo. Poi silenzio. Si ricomincia.
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Con altre donne. Così, avanti, per otto ore di seguito, fino allo sfinimento, due giorni a settimana. Sotto quel pavimento, alla Sonnabend Gallery di New York, nel 1972 c’è Vito Acconci, un uomo che chiamarlo artista è riduttivo, sbagliato, perché Acconci, morto l’altro ieri a 77 anni, è stato molto di più. Non trovo la parola giusta per definirlo perché quella parola non c’è. Per i critici d’arte è stato il padre della Body Art, e veramente con Acconci il corpo è arte. Il sesso che si fa col corpo, lo stesso.
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Ciò che il sesso maschile raggiunge e produce, orgasmi e sperma, anche di più: semi d’artista sparsi sul pavimento, liquido che serve a inseminare, fertilizzare l’arte e il suo spazio. Il “Seed-bed”, il letto di semi, la performance di Vito Acconci del 1972, è una sorta di hot line a-tecnologica, uno scambio masturbatorio come quello che puoi fare oggi via webcam o guardandoti un porno.
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E’ un rituale, la rappresentazione d’un amore impossibile, d’un rapporto sterile tra un uomo e una donna illusoriamente vicini, in realtà inesorabilmente distanti, e soli. La messa in scena senza filtri d’ogni tabù, vergogna, paura, desiderio di guardare la sessualità altrui. Sotto quel pavimento, Acconci attira le donne a sé, vuole che reagiscano ai suoi richiami, che lo aiutino a masturbarsi sussurrandogli affettuosità e sconcezze. Che restino anche solo in ascolto. Che lo spiino. Tutto quello che vogliono, basta che “entrino” in intimità con lui. Alcune scappano, la maggior parte restano ad eccitarlo.
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Un performer imprevedibile, Vito Acconci. Allergico, distante anni luce da tutte le mode, movimenti, gruppi artistici. Fuori da ogni dimensione, totalmente inclassificabile. Trasgressivo e provocatore. Nato con un “genio” dentro. Sperimentatore per vocazione. La sua arte è una sorta di patologia. Il suo corpo fulcro, riferimento necessario, mezzo ideale per sfogare l’insopprimibile voglia di sfidare tutti i limiti di sopportazione possibili. Acconci lavora in un primo tempo con la parola, scrive poesie, e quando la parola scritta non gli basta più trova nel corpo e nei video nuovi, migliori alleati.
La parola ha dei limiti. Può mentire. Il corpo no, i suoi limiti possono essere continuamente sfidati, messi alla prova, il dolore auto-inferto può portare alla scoperta di una verità più vera, ad una presa di coscienza assoluta. Con la sua Super 8, Acconci filma azioni intime, carnali, che scivolano in un delirio simile al martirio, all’invasamento dei santi.
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I suoi video in bianco e nero sono frutto di un’autoanalisi ossessiva, malata, allucinata, sul proprio corpo, il proprio ingombro fisico. Martoriandosi Acconci analizza, spietatamente viviseziona il suo rapporto con gli altri, con lo spazio, e ancor di più con le sensazioni che prova, sopporta, su tutti il dolore, lo stress, il desiderio sessuale. Nudo, indifeso, in ogni sua performance Acconci supera se stesso, sfida chi lo guarda direttamente o attraverso uno schermo.
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Affronta fisicamente gli spettatori. Li assale, li attacca. Li mette e si mette alla prova. Per uscire dalla sua solitudine. Farci i conti. Magari sconfiggerla. Con ogni performance, Acconci lancia il suo corpo nel mondo. Ogni volta la sua carne è vergine territorio d’esplorazione. Acconci si contorce, si sfrega pomodori sulla pelle e sui testicoli, si brucia i peli del petto con un accendino.
Si fa toccare da tutte le parti. Si mette una mano in bocca fino a soffocare, si fa picchiare bendato, si getta acqua insaponata dentro gli occhi. Si morde. Oppure cambia sesso. In una sorta di denudamento schizofrenico, fa a pezzi la sua identità, diventa una donna, “è” una donna, muove il suo corpo maschile come se fosse nato femmina, nasconde il pene fra le gambe fino a decidere di farlo sparire nella bocca di una donna vera.
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Sempre insofferente, inquieto, in cerca di qualcosa che non ha trovato mai, che forse non esiste. Fare arte per essere al centro dell’attenzione, per cercare (trovare?) altre verità. Per assestare scossoni, terremotare certezze, incidere e rimanere impressi nelle coscienze. Vito Acconci per anni ha fatto i conti con sé stesso, coi suoi traguardi e i suoi fallimenti, fino all’ultimo, alla fine, alla morte, che è il fallimento del corpo massimo. Ultimo. Andare oltre. Mettere a soqquadro l’ordine esistente. Rompere il varco. Guardare dall’altra parte. Jim Morrison sarebbe stato d’accordo.
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